Donato Renzetti: «La miaTraviata: un elogio a Verdi »

Donato Renzetti torna al Teatro Regio di Torino per dirigere Traviata (14-23 dicembre 2018).

Maestro, i due preludi servono a darci il clima, “la tinta”, termine caro a Verdi, dell’opera?
«Il preludio del primo atto ci dà insieme la sofferenza e l’amore appassionato di Violetta, quello del terzo atto è più drammatico e anticipa già il clima della morte di Violetta: il sipario si apre proprio sul suo letto di morte. Nell’opera “sentiamo” la malattia della protagonista: il suo svenimento, la mancanza di respiro… si capisce già tutto».

Si dice spesso che per interpretare Traviata ci vogliano tre soprani, uno per ogni atto. Cambia così tanto la vocalità di Violetta?
«Sì è vero. Nel primo atto ci vuole una voce scattante, agile, ci vuole leggerezza. Nel secondo è necessaria una voce più lirica: siamo di fronte a una donna innamorata che sa che non potrà mai avere l’uomo che ama. Nel terzo è necessario un soprano drammatico: emerge tutta la personalità di Violetta, la sua voglia di vivere quando invece sta per morire».

Quanto sono innovative pagine come il finale del primo atto (con la voce di Alfredo fuori campo), la scrittura della lettera (l’assolo del clarinetto), una frase come “Amami Alfredo”, l’“Addio del passato” con lo straziante oboe?
«Traviata è certamente un’opera innovativa. Quelle che ha citato sono indubbiamente pagine che portano un’innovazione drammatica e melodica. E penso anche al coro fuori scena del terzo atto: sono tutti effetti scenici e drammatici lucidamente voluti da Verdi».

Ancora Verdi: “Il secondo atto è migliore del primo. Il terzo è migliore di tutti: e così doveva essere”. Gli diamo ragione?
«Se lo dice il compositore come faccio a negarlo? Certo, mi piacerebbe incontrarlo per dirgli che per me ogni atto è straordinario! Mah, mi sa che se lo incontro mi insegue per dirmi: “Quante mie opere hai rovinato!”».

È più difficile affrontare un’opera così nota, che tutti pensano di conoscere e che hanno discograficamente nelle orecchie?
«Sì, lo è, lo è… Perché il pubblico viene a teatro con la “sua” Traviata nelle orecchie e si mette subito a fare paragoni. È un comportamento per lo più italiano: all’estero si dice “Andiamo a sentire l’opera”, mentre in Italia si dice: “Andiamo a vedere cosa fanno questi qui rispetto a quello che abbiamo già ascoltato in disco”. È giustissimo che ognuno abbia i propri gusti, ma i paragoni non andrebbero fatti».

Ha già visto o già diretto, questa storica Traviata degli specchi?
«La vidi proprio al debutto nel 1992 allo Sferisterio di Macerata: è bellissima! Quell’anno io debuttavo a Macerata dirigendo Sonnambula le cui regia e scene erano proprio di Josef Svoboda, così andai a vedere la prova generale di Traviata e ne rimasi molto impressionato».

Susanna Franchi