Requiem di Fauré e Seconda sinfonia di Čajkovskij hanno lo stesso sguardo, la stessa dolcezza e schiettezza naturale.
Intervista a Michele Mariotti

Michele Mariotti prosegue il suo rapporto “sinfonico” con Orchestra e Coro del Teatro Regio di Torino, dopo i concerti “schubertiani” adesso tocca a Faurè e a Čajkovskij: il 20 febbraio alle ore 20,30 dirigerà il Requiem di Fauré e la Seconda sinfonia, “Piccola Russia” di Čajkovskij.

«Ho già diretto il Requiem di Fauré a Bologna e a Firenze e sono molto contento di dirigerlo a Torino con Coro e Orchestra del Teatro Regio che sono bravissimi e con i quali ho un ottimo rapporto – esordisce il maestro Mariotti –. È una pagina molto religiosa intendendo per religioso ciò che esprime amore: una religiosità profonda e c’è una grande profondità di sentimenti, lo potremmo definire un Requiem sereno perché non c’è quell’aspetto tremendo del dio che giudica».

Non c’è nemmeno il Dies Irae…
«Perché non è un Requiem doloroso. Il senso di questa pagina è il conforto che ti dà il cessare della sofferenza. Ci descrive la fine della sofferenza terrena, come una sorta di dolce conforto, di calore. Dicono che quando stai morendo di freddo hai un’ultima sensazione di bellissimo tepore: ecco è quel tepore che ci trasmette questa pagina».

Fauré era anche organista e qui mette in gioco il suo strumento…
«Sì, qui l’organo non è trattato con maestosità, ma fa parte dell’intimità della pagina e ha un preciso tratto coloristico».

Come tratta le voci Fauré?
«Le voci non sono trattate come uno strumento virtuosistico, si predilige “l’orizzontalità” al virtuosismo fine a sé stesso. E poi c’è il coro che è il protagonista assoluto di questa pagina e sono felice di eseguirla con il Coro del Teatro Regio che è fantastico! Le pagine corali sono molto diverse, da quelle più enigmatiche a quelle di vera e propria ascesa a Dio».

Come nasce l’abbinamento tra il Requiem e la Seconda sinfonia, “Piccola Russia” di Čajkovskij?
«La Seconda sembra una “miniatura”, anche qui ci sono la gioia, la malinconia, il grottesco, temi vicini al Requiem, ma soprattutto ci vedo lo stesso sguardo, la stessa dolcezza e schiettezza naturale. Quel disincanto, quel sorriso, quella serenità alla quale accennavo parlando del Requiem sono gli stessi della sinfonia, perché nella “Piccola Russia” c’è la genuinità dello sguardo di un bambino che guarda il mondo, mondo che non è meno crudo ma che è visto da una prospettiva diversa».

Susanna Franchi