Gastón Fournier-Facio
«Un festival dedicato a Richard Strauss, il Grande Attuale»

Sabato 24 febbraio alle 20.30 al Teatro Regio Gianandrea Noseda dirige l’orchestra di casa in un concerto dedicato a Richard Strauss. Per quello che Gustav Mahler chiamava il Grande Attuale – sottintendendo con una punta di autoflagellazione di essere lui il grande inattuale – è un bel momento. Torino gli dedica un Festival: un febbraio zeppo di concerti, mostre e convegni in tante sedi. E il Regio gli consacra un progetto spalmato su tre stagioni. Capolavori sinfonici e ben tre lavori teatrali in cartellone riletti dal grande Robert Carsen.

Gastón Fournier-Facio è il direttore artistico del Regio e ci racconta i segreti di questa Strauss-Renaissance. 

Maestro Fournier, Strauss è tornato ad essere il grande attuale?
«La definizione non era sarcastica. Strauss e Mahler erano molto amici. Avevano un’autentica ammirazione reciproca. Strauss è stato un uomo di grandissima intuizione teatrale. È difficile incontrare personalità così fertili e al tempo stesso di così grande popolarità. Pochi compositori del secolo scorso sono entrati come lui nel repertorio operistico mondiale. A parte Puccini, che ha un piede nell’Ottocento, fra gli autori che hanno scritto per il teatro nel Novecento gli possono stare alla pari forse solo Benjamin Britten, il talento assoluto di Alban Berg che però ha scritto solo due opere, e Hans Werner Henze che da noi è poco rappresentato, ma in Austria, Stati Uniti, Germania e Inghilterra ha un grande pubblico. Strauss è un talento assoluto dal punto di vista drammaturgico. Salome, Elektra, Rosenkavalier, Ariadne auf Naxos e Capriccio si rappresentano in cinque continenti. È curiosa la vicenda di quest’uomo che dal 1880 al 1905 compone praticamente solo per orchestra, un capolavoro dopo l’altro, e poi si dedica quasi esclusivamente al teatro musicale».

Il Regio presenta entrambe le facce, il sinfonista e il drammaturgo.
«Abbiamo iniziato a giugno scorso con tre poemi sinfonici, Ein Heldenleben, Tod und Verklärung e Till Eulenspiegels lustige Streiche diretti da Asher Fisch. Il 15 febbraio Noseda dirige la ripresa di Salome nella rivoluzionaria regia di Robert Carsen. E nelle prossime stagioni proporremo altri lavori sinfonici e due opere teatrali che non possiamo annunciare, ma saranno titoli popolarissimi».

Il concerto del 24 febbraio propone Aus Italien e Don Quixote. Due tappe di questo percorso sinfonico prima della grande svolta teatrale. Ce le racconta?
«Con Aus Italien Strauss dice “Ho finito il mio periodo di apprendistato”. Siamo nel 1887. Ha solo ventitré anni ma è stato precocissimo, con un’educazione musicale di prim’ordine venuta dal padre Franz, grande cornista che non amava Wagner ma fu primo esecutore del Tristano e Isotta. Aus Italien è un ricordo del Grand Tour, il viaggio in Italia che ogni tedesco colto doveva compiere per completare la propria formazione. Strauss ha sempre avuto con l’Italia un rapporto profondo, di amore e critica. Ci tornerà spesso con la famiglia. Quasi ogni anno verrà ad acquistare pezzi d’antiquariato a Firenze. Ci passerà tante vacanze come turista e tante date come direttore delle sue opere, come la prima italiana di Salome proprio a Torino. Ma all’epoca c’era stato solo come giovane emulo di Goethe. Per questo è un’anomalia assoluta che un conterraneo di Brahms e Wagner si presenti al mondo della musica sinfonica con un affresco sul Grand Tour. Tecnicamente Aus Italien è a metà fra una sinfonia in quattro movimenti e un poema sinfonico. Ogni movimento ha un programma letterario, un preciso percorso narrativo. Se preferiamo, sono quattro cartoline. Nella campagna è ambientato a Villa d’Este di Tivoli, quella che aveva ispirato i Jeux d’eau di Liszt. Fra le rovine di Roma sembra una stampa di Piranesi con gli armenti al pascolo fra i capitelli del Campo Vaccino. Sulla spiaggia di Sorrento è un bozzetto di sole mediterraneo. Vita popolare napoletana è il più controverso e più apprezzato dal pubblico, e porta con sé un aneddoto curioso».

Quale?
«Quando Strauss vuole descrivere il chiasso della strada partenopea scatena l’orchestra e ne succedono di tutti i colori. Ma verso la fine cita un motivetto che aveva sentito cantare in giro e riteneva fosse un’anonima canzone popolare. Invece era Funiculì, funiculà: un hit appena pubblicato da Luigi Denza e depositato Siae con tanto di copyright. L’autore gli fece causa e la vinse. Ancora oggi, ogni volta che si esegue Aus Italien parte dei diritti vanno agli eredi Denza. Strauss era molto attaccato al denaro e attentissimo ai diritti sulle proprie composizioni. Per tutta la vita soffrì molto di quest’ingenuità. Non se la perdonò mai».

Andiamo in Spagna con Don Chisciotte…
«Siamo dieci anni dopo, nel 1897. Strauss è nel pieno del virtuosismo supremo nell’uso di un’orchestra monumentale, nella valorizzazione delle possibilità tecniche e nelle miscele dei colori strumentali. Don Quixote è uno dei suoi grandi poemi sinfonici, al livello del Till, Don Juan e Zarathustra. Come sottotitolo reca Variazioni fantastiche su un tema di carattere cavalleresco. Come struttura è un tema con 10 variazioni, ognuna corrispondente a un momento narrativo del romanzo: dall’Avventura contro i mulini a vento all’Incontro con Dulcinea – novella Beatrice dantesca – fino alla Sconfitta di Don Chisciotte. Due strumenti concertanti, qui interpretati dalle prime parti dell’orchestra, danno voce ai protagonisti di Cervantes. Il violoncello di Amedeo Cicchese è Don Chisciotte, che ovviamente primeggia protagonista. Ma la viola di Enrico Carraro, Sancho Panza, quando è il momento interviene e gli ruba la scena con i suoi sproloqui da buffo chiacchierone».

Nicola Gallino
Festival Richard Strauss – Brochure 10×21