In occasione del Giorno della Memoria, il Teatro Regio sceglie di unirsi alla commemorazione attraverso la musica della sua orchestra d’archi (mercoledì 23 gennaio 2019 – ore 10.30).
Il fil rouge tra le composizioni scelte, molto varie per epoca e linguaggio compositivo, è quello della diversità: a spiegarcene i risvolti e le implicazioni sociali saranno gli interventi del filosofo Carlo Sini.
Introduce il concerto il celeberrimo Adagietto dalla Sinfonia n. 5 di Gustav Mahler, nome di spicco nella tristemente nota mostra dedicata nel 1938 dai nazisti alla Entartete Musik. L’ideologo del Terzo Reich, Alfred Rosenberg definì il musicista “farfugliante giudeo”; e Mahler, ebreo nato in un’enclave tedesca in Boemia sotto l’impero austroungarico, aveva le origini più distanti che si potessero immaginare dal concetto propagandistico della “razza pura”. L’intento del regime era di cancellarne non soltanto la produzione artistica ma la memoria stessa, arrivando ad abbatterne il busto nella Wieneroper, così com’era stato per la statua di Mendelssohn a Lipsia.
Rifiutare il diverso significa anche paura della contaminazione: ed è in questa ottica che si inserisce la scelta di eseguire le Danze Rumene, variopinto esempio di musica modale. Béla Bartók, tra i fondatori dell’etnomusicologia, seppe rielaborare gli spunti flokloristici all’interno del suo proprio linguaggio compositivo, riconoscendo a ciò che è altro da noi la capacità di arricchirci, e protestò ufficialmente per non essere stato incluso nell’indice degli autori “degenerati”: né lui né la sua musica – sottolineò – erano ariani.
Le forme e i temi popolari, questa volta riletti in chiave neoclassica, tornano nella giovanile Simple Symphony di Benjamin Britten, autore che si distinse per la sua integerrima posizione pacifista, che gli costò l’accusa di diserzione durante la seconda guerra mondiale.
In quegli stessi anni un altro musicista si dimostrava una spina nel fianco dei regimi: Arturo Toscanini, al quale, emigrato oltreoceano, venne affidata la prima esecuzione di un’altra celebre pagina che ascolteremo durante il concerto, il suggestivo Adagio per archi di Samuel Barber.
La figura di Igor Stravinskij, rappresentata dall’Arioso del neoclassico Concerto in re, fu ideologicamente più sfumata, ma anche lui non sfuggì all’elenco dei “degenerati” per il suo periodo di avanguardia fauve.
L’ultima, bellissima pagina è dedicata a Dmitrij Šostakovič, che trascorse tutta la sua vita artistica sotto un regime, da questo a tratti incensato e a tratti inviso al punto di temere per la sua incolumità; la sua Romanza per violino e orchestra, scritta due anni dopo la morte di Stalin, appartiene ormai al periodo del disgelo.
Per ricordare che i totalitarismi passano, ma che l’arte, una delle libertà più grandi, non sarà mai soffocata.