Sull’onda della fortuna di Nabucco, Verdi si lasciò facilmente convincere a scrivere un’opera che ne ripetesse il successo, replicandone fin nel dettaglio alcune caratteristiche: stesso librettista (Temistocle Solera); stessa struttura (quattro atti relativamente brevi, il primo dei quali funge da antefatto); stesso genere (dramma storico con conclusione rasserenante); stessa imponente presenza del coro, che, lungi dall’essere un mero elemento esornativo, diviene protagonista al pari dei personaggi, dando voce all’epopea di un popolo che va alla ricerca di una terra e di un’affermazione della propria identità. Nacque così I Lombardi alla prima crociata, quarto titolo del catalogo operistico verdiano, andato in scena al Teatro alla Scala l’11 febbraio 1843.
Il successo arrise immediatamente alla nuova opera, pur in presenza di alcune voci discordi da parte della critica; voci divenute più insistenti nel Novecento, tanto da catalogare I Lombardi tra i lavori “minori” di Verdi e farlo diventare una rarità da ripescare di quando in quando. Al giorno d’oggi, rifiutando queste suddivisioni manichee tra titoli “maggiori” e “minori”, si può affermare che I Lombardi possiede un’indubbia efficacia, che suscita tuttora l’entusiasmo degli ascoltatori. La solennità dei cori, la delicatezza delle scene d’amore e delle preghiere, la forza trascinante dei numeri musicali nella cosiddetta «solita forma» (introduzione, cantabile, tempo di mezzo e cabaletta), contribuiscono a generare quell’«effetto» che Verdi peculiarmente cercava nel proprio teatro. D’altro canto, non si può negare che questo titolo soffra di una certa frammentarietà drammaturgica: l’inserimento delle vicende private, piuttosto intricate, dei protagonisti nel contesto dell’avanzata dei crociati lombardi in Terra Santa non è sempre risolto con linearità, e genera una successione di undici quadri scenografici concisi e non necessariamente concatenati. Non è raro che uno spettatore dei Lombardi esca da teatro senza aver compreso appieno il filo della trama, o senza ricordare la sorte di un determinato personaggio (al regista il compito di aiutarlo, senza complicargli ulteriormente la lettura). Ma è probabile che quello stesso spettatore si sia commosso ascoltando il coro dei pellegrini o la morte di Pagano, e che abbia vibrato di passione di fronte all’invettiva di Giselda nel finale II. Perché questa, in fondo, è la natura dei Lombardi verdiani: una successione di quadri, come una galleria di tele a soggetto storico, che illustrano istantanee da una crociata, con le passioni, i sentimenti e le debolezze dei personaggi che li animano; quadri da gustare nella loro singolarità, e resi vivi dall’icasticità della pittura musicale di Verdi.
Marco Leo