Il dolore antico e sincero di Gustav Mahler

Ancora oggi risulta davvero difficile scrivere di Gustav Mahler senza in qualche modo essere trascinati nel turbinio di quanto si è detto, scritto di e su Gustav Mahler. Mahler è il von Aschenbach di Luchino Visconti o il Robert Powell di Ken Russell? Quando ascoltiamo i suoi Lieder e le sue sinfonie siamo sulla spiaggia del Lido di Venezia mentre infuria il colera e il giovane Tadzio indica un orizzonte impalpabile e ineffabile, oppure ci troviamo di fronte a walkirie belluine che inneggiano al führer che verrà? Pregiudizi decadenti sul decadentismo e sulla decadenza s’intrecciano con la confusione che ancora oggi ci spinge a credere che la transizione tra Otto e Novecento sia stata la madre di tutte le rivoluzioni e l’inizio della fine dei tempi, con Mahler nel mezzo a fare da alfiere dell’una e dell’altra.

Accostare, come nel concerto dell’Orchestra del Teatro Regio diretta da Nicola Luisotti e con il baritono Artur Ruciński, i Canti dei bambini morti (1901-1904) e la Settima Sinfonia (1904-1908), due opere limitrofe, potrebbe suggerirci una via d’uscita: in quegli anni Mahler è il genio come lo descriveva Diderot: un uccello notturno dalla voce inquietante e persino sgradevole che nell’oscurità, solitario, si alza in volo. Ma «anche nell’oscurità vi sono doveri divinamente belli, e da compiere senza dare nell’occhio…», come ci ricorda il Mago del Nord, Johann Georg Hamann citando il Vangelo di Matteo, e chiosando il tutto con un commento dal sapore decisamente mahleriano: «Anch’io sono un tutore! – ma non sono né un portavoce servile né un servo stipendiato di qualche gran podestà, bensì uno che si schiera con l’innocenza minorenne. Amen!». Tutore sta per compositore, artista. L’innocenza minorenne è una folgorazione mahleriana, più volte presente nelle sue partiture. Hamann, del resto, mette in luce tutte le oscurità dell’Illuminismo, inaugurando quel fluire anti-razionalistico, tutt’oggi vivo nonostante i tentativi d’imbrigliare la vita nella griglia del profitto, della domanda e dell’offerta. Hamann precede di poco Jean Paul – cui Mahler s’ispirerà per la sua Prima Sinfonia – e anticipa Rückert, e i molti critici e mistici che animarono il XIX secolo e aprirono a Freud le porte dell’inconscio. Dunque, Mahler è un illuminista al contrario: altro che rischiaramento. Tutta quella luce abbaglia e non permette di vedere al buio. Quel buio in cui si perdono i bambini, quel buio cui è intitolata l’intera Settima Sinfonia con le sue due grandi Nachtmusiken (secondo e quarto movimento) e quello Scherzo centrale che Mahler vuole sia eseguito Schattenhaft: in maniera incerta, confusa, vaga. Dove Schatten è il sostantivo (maschile in tedesco) che sta per l’italiano “ombra”. Non è Mahler il decadente: lo sono piuttosto quei cantori delle locomotive e della guerra, che alla decadenza ci condurranno per davvero. Il dolore in Mahler è cosa antica e sincera: è salubre.

Fabrizio Festa