Non aspettatevi una Giara tradizionale. Non sarà un semplice racconto folklorico lo spettacolo di danza di Roberto Zappalà che va in scena al Teatro Regio dal 12 al 22 giugno insieme a Cavalleria rusticana. Immaginatevi piuttosto un pezzo di danza contemporanea dove le atmosfere e i temi della Sicilia di Pirandello vengono filtrati alla luce di una sensibilità molto più attuale.
Perché il catanese Roberto Zappalà è una figura di punta del contemporaneo in Italia con il suo Scenario Pubblico a Catania riconosciuto Centro di Produzione Nazionale dal Ministero per i beni e le attività culturali.
In questi anni Zappalà ha realizzato una cinquantina di balletti, quasi tutti a serata intera, riunendo intorno a sé una Compagnia di agguerrita tecnica e forte sensibilità interpretativa.
Perché questo approccio così inusuale a La giara?
«Insieme al dramaturg Nello Calabrò abbiamo riflettuto sulla necessità di dialogare con il pubblico facendolo riflettere su quello che secondo me era il pensiero di Pirandello»
E cioè ?
«Cioè rendere questa giara un contenitore da dove poter osservare il resto del mondo, dell’umanità in modo diverso. Non a caso Zi’ Dima, a un certo punto non vuole uscire più dalla giara. Proprio perché ci si trova bene, vede la luna in un certo modo»
Non si vedrà la giara in scena?
«Non si vedrà la giara ma il suo interno. Qui non si danza intorno alla giara al centro della scena, ma dentro la giara che è tutta la scena. Questa danza rappresenterà un luogo di accoglienza. Simile a quello in cui si trova il bambino quando è ancora nel ventre materno. Come Pinocchio dentro la balena. Questa metafora di un luogo di accoglienza, di un luogo di abbraccio è il punto centrale del lavoro»
Nel suo repertorio ci sono altri lavori ispirati al mondo siciliano, ma questo è il primo su Pirandello?
«Non esattamente, l’interesse che ha suscitato in me la proposta del Teatro Regio deriva dal fatto che fra le mie prime opere c’è stato Il berretto a sonagli. La filosofia»
Nello spettacolo si danza esclusivamente sulla musica di Casella oppure ricorre anche ad altri inserti musicali?
«In un primo momento avevo riflettuto sulla possibilità di inserire delle musiche elettroniche. Ma poi ho desistito: mi sembra molto più corretto rispettare la presenza dell’orchestra dal vivo e il suo ruolo»
Ribadiamo: niente Sicilia tradizionale in scena?
«Non mancheranno aspetti che ricordano la Sicilia, ma non quelli che lo spettatore potrebbe aspettarsi, tipo il berretto da contadino o da mafioso…»
Non teme contrasti fra la musica e la sua impostazione?
«La composizione ha una linea di racconto molto classica. Ogni scena è definita con precisione dalla musica. Se si legge il libretto si constata che la musica lo racconta alla perfezione. Certo, se avessi dovuto fare una Giara nuova avrei forse scelto un’altra musica. Ma è questa la scommessa, il piacere del rischio, proprio quello che rende l’operazione interessante: mantenere il mio mondo creativo con quella musica predefinita».
Sergio Trobetta