La mia Sonnambula non è un quadretto idilliaco.
Intervista a Mauro Avogadro

Al Teatro Regio Mauro Avogadro “gioca in casa”, dato che l’attore e regista di prosa ha firmato le sue prime regie liriche proprio nel teatro torinese e qui è stato assistente alla regia di Luca Ronconi per spettacoli indimenticabili come La Damnation de Faust e L’Affare Makropulos.
Dal 10 aprile va in scena Sonnambula, ripresa di un suo allestimento che debuttò nel 1998.

Qual è il punto di partenza della sua regia di Sonnambula?
«È una visione che va oltre il quadretto idilliaco svizzero. Il mio punto di partenza è che Amina soffre di una patologia, ha una mente alterata, ha dei disturbi relazionali: insomma, non è una persona equilibrata. Sono considerazioni che il libretto ci concede, basti pensare alla sua prima aria, Come per me sereno nella quale invita la madre a toccarle il cuore per sentire i suoi palpiti. Non c’è solo felicità: c’è agitazione. Gli altri personaggi possono essere più leggeri, d’altra parte Scribe, l’autore della commedia dalla quale l’opera è tratta, era uno scrittore che amava la leggerezza. Penso ad esempio al coro che rappresenta i paesani curiosi al limite del voyeurismo. Sì, fanno parte della festa, ma sono prontissimi ad utilizzare il loro senso critico, la diffidenza, direi quasi l’invidia. Ecco, immagino una Sonnambula vista con gli occhi di Amina, ripeto, non certo un quadretto idilliaco».

Come sono scene e costumi?
«Le scene di Giacomo Andrico ci raccontano una scena più mentale che fisica. E i bellissimi costumi di Giovanna Buzzi rispettano l’epoca del libretto e con un atto eversivo, perché oggi non succede più, non ci sono né nudi né jeans!».

Cambierà questa Sonnambula, che lei stesso riprende 20 anni dopo?
«Sì, certo, lavorerò molto sul nuovo cast perché è chiaro che un regista lavora anche in base alle risposte che trova nei cantanti ed è proprio durante le prove che nascono sinergie fondamentali. È il non previsto che fa scattare nuove idee! In questi anni la disponibilità dei cantanti è molto cresciuta, comunque non ho mai avuto problemi: faccio l’attore e il regista, di diaframma so qualcosa e quindi non mi è mai capitato di fare richieste impossibili o di creare problemi di respirazione a un cantante costringendolo a cantare a testa in giù. Sono molto contento di tornare a lavorare al Teatro Regio, che per me è memoria viva di anni meravigliosi».

Che personaggio è Elvino?
«Pensando a come è strutturata l’opera, il personaggio di Elvino è funzionale allo sviluppo dell’azione: è un uomo senza problemi, ricco, che sposa una donna più povera e problematica. Le sue reazioni, la sua gelosia, sono scontate. Lui è la solidità contrapposta alla fragilità di lei».

È un lieto fine quello di Sonnambula?
«È un finale di totale disincanto. L’opera finisce repentinamente e lo scioglimento avviene in maniera molto rapida con l’inevitabile lieto fine. Elvino e Amina si sposano, ma se dovessi pensare a un sequel immaginerei che ogni tanto Amina ritorni sonnambula perché la sua patologia rimane».

Susanna Franchi