Il regista argentino Mario Pontiggia porta al Teatro Regio dal 15 ottobre il suo allestimento di Tosca con scene e costumi di Francesco Zito e racconta: «Con Francesco Zito abbiamo pensato di concentrarci su elementi “reali” che giovano allo spazio drammatico. Nell’atto primo, la visione dell’enorme cupola di Sant’Andrea della Valle rappresenta il peso istituzionale che minaccia e schiaccia l’individuo, in uno spazio che ospita tanto gli effluvi amorosi di una diva con un pittore quanto un Te Deum protocollare. Nel secondo atto, l’elegante sala del Palazzo Farnese diventa una camera di tortura psicologica per gli amanti, mentre nella stanza accanto la tortura è fisica, anche se non vista. Nel terzo, lo spazio è più neutro, con un’enorme grata che separa, come una ghigliottina, la prigione stessa dal vuoto e taglia così il rapporto degli innamorati che cercavano la libertà. I costumi si abbinano a questa proposta in stile Ottocento. Nella Roma di Scarpia della nostra produzione predominano il nero o i colori ecclesiastici; gli unici punti di luce sono i costumi di Tosca e Cavaradossi».
Parliamo di Floria Tosca?
«Floria Tosca, come Adriana Lecouvreur, è un soprano che interpreta sia la cantante sia l’attrice. Floria, apparentemente nata in campagna e allevata in un convento, poi allieva di Paisiello, conserva un lato infantile, quasi buffo, che tanto diverte Mario. È bigotta, ma essendo follemente innamorata del suo pittore, pratica l’amore libero. Il suo aristocratico amante, con idee che oggi sarebbero di sinistra, non è la persona più indicata per lei. Tosca sa passare, quasi immediatamente, da donna semplice e spontanea a diva teatrale: basta pensare a come reagisce quando Scarpia la sorprende in chiesa con “Tosca divina…”. Il suo bigottismo inoltre non le impedisce di evocare ambienti erotici persino in chiesa, perché, nella sua semplicità, è convinta che Dio la perdoni essendo lei un’artista. Il fatto più interessante che cerco sempre di mettere in luce in Tosca è che, sia Tosca sia Cavaradossi, sono due artisti liberi che restano coinvolti in uno oscuro affare di stato, ne sono travolti e diventano vittime innocenti del terrore».
E Mario?
«Pur conservando l’idealismo del personaggio creato da Sardou, in Puccini Mario appare più fragile e gli mancano elementi presenti nella pièce per completare la sua vera personalità. Penso che Puccini fosse più interessato al rapporto Tosca-Scarpia, anche se poi ha scritto grandi pagine per Floria e Mario. Tuttavia la figura di Scarpia fagocita l’interesse per quell’amante umanista, che va incontro alla morte con una sublimazione degna di un vero eroe, e fa credere a Tosca che sia effettivamente possibile il piano idilliaco da lei proposto, cioè recitare una morte per poi fuggire via mare. Cavaradossi si evolve bene nell’opera – artista libero e amante passionale, cittadino impegnato e vittima predestinata – ma forse lo fa troppo rapidamente per gli occhi del pubblico».
Susanna Franchi