La “Traviata degli specchi” contro il voyeurismo. Intervista a Henning Brockhaus

Henning Brockhaus e la “sua” Traviata degli specchi “camminano” insieme da ventisei anni: era il 1992 quando Claudio Orazi, allora sovrintendete dello Sferisterio di Macerata, chiese a lui, che debuttava come regista lirico, e allo scenografo Josef Svoboda di creare un nuovo allestimento dell’opera verdiana.
Nacque così la “Traviata degli specchi” perché la scena è dominata da un gigantesco specchio inclinato che riflette i cantanti e ciò che, come un tappeto, è disteso sul pavimento del palco.

«Il mio teatro è contro ogni realismo, contro ogni naturalismo – esordisce il regista Henning Brockhaus – il mio teatro è simbolico perché il realismo non combacia con la musica. La musica, lo dicevano già Aristotele e Platone, è emotività, basti pensare alla teoria degli affetti del teatro barocco. Il teatro ha un linguaggio nascosto che è simile ai sogni: la ragione non regge. Nei sogni c’è sempre una storia emotiva e lo stesso accade a teatro. Così l’opera comincia al buio, è tutto nero e poi piano piano si alza lo specchio, a 50 gradi, e riflette ciò che c’è per terra, un sipario. Questo vuol dire che stiamo entrando nell’ennesimo rituale, qui siamo a teatro non è la prima volta che questa storia viene raccontata, l’abbiamo sentita tante volte».

Lo specchio cambia completamente la prospettiva del pubblico…
«Lo spettatore è come proiettato dentro l’azione, è “risucchiato”, è chiamato in causa. Non è altro che la risposta alla domanda di voyeurismo presente in tutta l’opera. Non dimentichiamoci che nel romanzo di Dumas, quando tutti i beni di Marguerite vengono messi all’asta dopo la sua morte, la gente frugava nei cassetti, apriva gli armadi: se non è voyeurismo quello! La Violetta verdiana è lo stereotipo della peccatrice dell’Ottocento, è la femme fatale che accetta di rinunciare all’amore di Alfredo con la promessa di avere il Paradiso e invece avrà l’Inferno! »

Nel finale, alla morte di Violetta, lo specchio si raddrizza completamente e riflette noi, il pubblico, la sala. Che cosa vuole comunicare questa scelta?
«Si tratta di un effetto voluto. Pensi che dopo la prima allo Sferisterio di Macerata due signore eleganti e colte vennero a dirmi: “È bellissimo, ma stavamo piangendo, e vederci riflesse ci ha distratto dalla morte di Violetta”. Era proprio quello che volevo: distruggere il godimento voyeuristico che ogni spettatore prova in quel momento!».

Susanna Franchi