Nel 1923 Charlie Chaplin era all’apice della carriera, complice il successo del suo amato personaggio Charlot; pieno di entusiasmo, doveva girare il primo film per la United Artists, desideroso di ripetere il successo de Il Monello. Ma l’idea per un buon soggetto tardava ad arrivare…
Poi un’immagine lo colpì, offrendogli lo spunto che cercava: la lunga colonna umana che nel settembre 1898 si arrampicava lungo il sentiero innevato del Chilcoot Pass, al confine tra Alaska e Canada. Erano gli anni della corsa all’oro nel Klondike, quelli in cui cercatori, avventurieri, emarginati si spingevano verso nord con la convinzione che l’oro fosse l’unica via di riscatto dalle miserie della condizione umana. Le vicende (di cui ebbe occasione di leggere) sulla spedizione Donner, che si smarrì sui monti della Sierra Nevada con conseguenze terribili, completarono il quadro di stenti, fame e avventura all’interno del quale Chaplin ambientò le imprese dell’Omino con bastone e bombetta. Per Chaplin «tragedia e comicità sono strettamente connesse. Attraverso la comicità vediamo l’irrazionale in ciò che sembra razionale». Così, situazioni tragiche realmente accadute hanno ispirato alcune delle scene più celebri e cariche di poesia de La febbre dell’oro (la scena del pollo, lo scarpone bollito, la danza dei panini): capolavoro di perfetto equilibrio tra dramma e comicità, candore e ottimismo, è il film per il quale Chaplin desiderava essere ricordato.
Uscì nelle sale il 26 giugno del 1925, ancora nell’era del muto. L’avvento del sonoro di lì a due anni, che permetteva la perfetta sincronia tra suoni e immagini, stimolò Chaplin, da Luci della città in poi, a comporre le colonne sonore dei propri film. Artista dalle note qualità musicali, era convinto che la musica conferisse una dimensione emotiva; la musica doveva essere «un contrappunto di grazia e delicatezza, che esprimesse il sentimento, senza il quale, come disse Hazlitt, l’opera d’arte è sempre incompleta». Nel 1942 fece altrettanto con le pellicole precedenti, rivisitandole e rieditandole. Ne La febbre dell’oro, primo film interessato da questa operazione, Chaplin eliminò inoltre le didascalie, commentò alcune scene con la propria voce e modificò il finale. Oggi i suoi film sono oggetto di un meticoloso lavoro di conservazione e di ristrutturazione a cura della Cineteca di Bologna e degli eredi della famiglia Chaplin, in collaborazione con Timothy Brock, il quale, impregnato com’è delle partiture chapliniane grazie al lavoro di recupero e restauro che svolge da anni, riesce ogni volta, nelle non facili esecuzioni in sincrono dal vivo, ad infondere loro nuova vita.
Donatella Meneghini