Michele Gamba: con Donizetti ci vuole “buon gusto”

Il 13 novembre debutterà al Teatro Regio di Torino con una delle commedie musicali più tenere e leggiadre del repertorio italiano: L’elisir d’amore di Gaetano Donizetti. Ma il nome di Michele Gamba, talentuoso direttore trentacinquenne con una laurea in filosofia, un esordio da pianista e brillanti collaborazioni alle spalle come assistente di Pappano prima e di Barenboim poi, circola nei teatri di mezza Europa da quando nel 2016 ha sostituito l’indisposto Mariotti nei Due Foscari alla Scala con soli venti minuti di preavviso.

Maestro, ricorda la prima volta che ha ascoltato Elisir?

La prima volta che l’ascoltai fu alla Scala: avevo quattordici anni, frequentavo la quarta ginnasio e la mia professoressa di matematica mi procurò i biglietti. Rimasi colpito dall’aspetto lieve e frizzante della partitura di Donizetti: Elisir è una storia semplice, senza inclinazione al tragico, può sembrare persino facile da eseguire. Ma ci vuole “buon gusto” per mantenere quella freschezza senza cadere nel cliché, nello stereotipato, nello zucchero filato.

Dove sta la modernità di Donizetti in Elisir?

La cifra di Donizetti è così personale che qualunque etichetta è inadeguata. Ci sono momenti di sublime ispirazione chiaramente indebitati a Rossini, come il cantabile “Prendi, per me sei libero”, dove Adina emerge in tutta la sua genuinità attraverso una melodia sospesa fra serietà e dolcezza. Ogni volta che provo a rileggerlo al pianoforte rimango sopraffatto da quella delicatezza raffinata che rischia di rovinarsi se impreziosita troppo. Tuttavia, il libretto di Romani, straordinario per erudizione e verve linguistica, traghetta Donizetti oltre la fiaba rossiniana. La sua modernità sta tutta nel saper amalgamare patetismo e farsa.

La palma della sincerità emotiva però va tutta a Nemorino…

In effetti, Nemorino canta con una tipologia adolescenziale, quasi femminile, che è quella del semplice ragazzo di campagna, ingenuo, che sogna a occhi aperti. La romanza “Una furtiva lagrima” ne è l’esempio più eclatante. Adina, invece, è l’eminenza grigia di tutto il libretto, comprende la psicologia di Nemorino, ma soprattutto la propria. È lei la sintesi migliore del comico donizettiano.

A Torino il debutto sarà doppio: non ha mai diretto Elisir?

Sì, durante il mio percorso di formazione ho frequentato poco il genere buffo. Negli ultimi anni ho affrontato il melodramma verdiano e l’opera buffa di Mozart e Rossini, ma mai Donizetti. E alla Scala tornerò proprio con Elisir nel 2019. Sarà una bella sfida.

Valentina Crosetto