Dal 21 gennaio, in prima esecuzione italiana, va in scena al Teatro Regio di Torino Violanta di Wolfgang Korngold: regia scene e costumi sono firmati da Pier Luigi Pizzi.
Questo non è il suo primo Korngold perché nel 2009 ha curato alla Fenice di Venezia e poi al Massimo di Palermo un allestimento di Die tote Stadt, l’opera più nota del compositore austriaco. Trova delle similitudini tra le due opere separate solo da quattro anni?
«Penso che in molti punti Violanta faccia già presagire Die tote Stadt. Korngold scrive Violanta quando ha solo 17 anni, eppure dimostra già un grande talento musicale, possiede una grande immaginazione, una capacità di composizione sorprendente. Quando ho ascoltato Violanta la prima volta ho ritrovato una forte somiglianza con Die tote Stadt, nonostante il diverso grado di maturità».
Il libretto dice “Venezia XV secolo”…
«Non ne ho tenuto minimamente conto: ho trasportato l’azione all’inizio degli Anni Venti, quando l’opera è stata scritta: la musica di Korngold è tardoromantica, il che, a mio avviso, escludeva naturali riferimenti al Rinascimento. Ho pensato invece a un’atmosfera decadente, a D’Annunzio».
Che Venezia vedremo in Violanta?
«Un luogo della mente, dell’immaginazione. Vedremo Venezia attraverso una sorta di cerchio magico dentro il quale ci sono le immagini di un carnevale lontano, malinconico, in qualche modo l’evocazione di un sogno o forse di un incubo. Siamo in un vasto spazio, senza una precisa connotazione, affacciato su un canale (il libretto parla della Giudecca). Si vedranno i riflessi della laguna in una notte di plenilunio…».
Chi è Violanta? Una femme fatale ma anche una donna delusa dal proprio matrimonio?
«Violanta è una donna inquieta, lunatica, delirante, eccentrica… mi fa pensare, per restare a Venezia, alla Marchesa Casati come l’ha ritratta Boldini, e anche alla Madame X di John Singer Sargent: una dark lady, un po’ vampiresca. Certo, non siamo al livello di Strindberg, ma anche Violanta è un dramma familiare, basato sull’incomunicabilità. Questa smania di vita assoluta, totale, significa incapacità di accettare un’esistenza normale, di rassegnarsi alla solitudine».
Susanna Franchi