Porgy and Bess: un’opera totalmente “americana”

Le 124 rappresentazioni all’Alvin Theatre di New York dopo la prima di Boston del 30 settembre 1935 possono forse sembrare poca cosa per un lavoro come Porgy and Bess se si considerano i canoni di Broadway e la fama raggiunta in quegli anni da George Gershwin (1898-1937) come compositore di song, di commedie musicali e di brani sinfonici di commistione classico-jazz (prima fra tutte la Rhapsody in Blue) che gli valsero l’ammirazione di compositori come Ravel, Stravinskij, Boulanger, e l’appellativo di primo compositore genuinamente americano. Un “successo ma non troppo”, insomma. Ma George, morto prematuramente due anni dopo, non poteva sapere che quello era solo il preludio di un successo internazionale che, dal 1938 in California, e dagli anni Cinquanta in Europa, avrebbe portato la sua opera nei teatri di tutto il mondo.

Ora è il Teatro Regio, dal 2 al 7 luglio prossimi, a conclusione della Stagione 2018-2019, a offrire al pubblico la possibilità di assaporare la bellezza di quello che si configura non solo come il capolavoro gershwiniano, ma uno dei capolavori del teatro musicale in genere.

Gershwin era all’apice della sua folgorante carriera quando decise di scrivere un’opera che voleva totalmente “americana”. E una musica americana, come già aveva suggerito Dvořák quando fu chiamato nel 1892 a dirigere il Conservatorio di New York, non poteva che attingere alla musica dei neri: a quel nuovo linguaggio del jazz, del ragtime, del blues, degli spiritual, che da New Orleans dove aveva preso forma alla fine dell’Ottocento si stava diffondendo proprio in quegli anni nelle metropoli americane e che Gershwin aveva respirato sin da quando, giovanissimo, suonava come song-plugger nell’effervescente Tin Pan Alley newyorkese.

Quando, nel 1926, lesse il romanzo Porgy di DuBose Heyward (poi trasposto in forma teatrale) decise che la vicenda di questo mendicante storpio che vuole sottrarre Bess, di cui è innamorato, all’amore possessivo di Crown, sarebbe diventata la “sua” opera: «Nessun’altra storia avrebbe potuto essere più adatta per la forma impegnata che io volevo». DuBose realizzò il libretto e il fratello di George, Ira, scrisse i testi di alcuni song.

Ambientata in una ipotetica Catfish Row ispirata a una comunità rurale di neri Gullah vicino a Charleston, nel Sud Carolina, la vicenda passionale si snoda su uno sfondo corale in cui antichi e genuini valori sono minati dai mali della grande città (droga, alcool) e dove delitti, amori e tradimenti, religiosità e superstizione, ingenuità e arguzia popolare, conditi con un umorismo tutto naturale, conferiscono al lavoro quel realismo che Gershwin voleva. E se la critica del tempo non riuscì a inquadrare Porgy and Bess in un genere preciso, George con molta semplicità la definì una folk-opera, un lavoro tutto “al nero”, dall’ambientazione ai personaggi agli interpreti, ricca di colore locale; «un racconto popolare, in cui i personaggi è naturale che cantino musica popolare».

A portarla in scena insieme all’Orchestra del Teatro Regio non potevano essere più adatti i solisti e il coro del New York Harlem Theatre, sotto la direzione di William Barkhymer e con la regia di Baayork Lee. È la seconda produzione di Porgy and Bess del New York Harlem Theatre, la cui mission è proprio la diffusione della musica americana nelle sue varie forme e la promozione di compositori afro-americani.

Sostenuta da un’armonia raffinata e da un ritmo tutto “gershwiniano”, la fluidità di una trama continua melodico-corale-orchestrale è punteggiata qua e là dagli indimenticabili e intramontabili song: dalla celeberrima Summertime alle sinuose melodie dello spacciatore Sporting Life (It Ain’t Necessarily So e There’s a Boat Dat’s Leavin’ Soon for New York), da I Got Plenty o’ Nuttin’ con cui Porgy canta la semplicità di chi ha “molto di niente e niente è molto per me” ai duetti con Bess, ai canti collettivi… Tutti così genuini da sembrare autenticamente popolari, sgorgati con grande naturalezza dall’inesauribile vena melodica di Gershwin; sono quelli che rimangono in testa uscendo dal teatro. Ma non stupitevi se nei giorni successivi, impegnati in faccende diverse, vi sorprenderete a canticchiarli ancora…

Donatella Meneghini