Il pazzo Rigoletto avvelenato dalla vita.
Intervista a Renato Palumbo

Giuseppe Verdi lo considerava «il più grande soggetto e forse il più grande dramma dei tempi moderni». È Rigoletto il classico della “trilogia popolare” che Renato Palumbo, reduce da una lunga serie di impegni internazionali a Sydney, Washington, Buenos Aires e Pechino, tornerà a dirigere al Teatro Regio di Torino il prossimo 6 febbraio, a undici anni dall’ultima personale edizione torinese.

Maestro Palumbo, da esperto interprete verdiano, quanto è legato a Rigoletto e che cosa ha scoperto di nuovo nella partitura dopo averla eseguita per tanti anni?
Sono molto legato a Rigoletto: fu la prima opera che vidi in televisione da bambino e mi colpì già allora per la sua forza propulsiva. Titoli come Rigoletto, La traviata e Il trovatore sono passati alla storia perché appartengono al grande repertorio ma sono “schiavi” della loro celebrità. Quando ascoltiamo arie come La donna è mobile, Questa o quella per me pari sono o Cortigiani, vil razza dannata pensiamo alla bellezza del singolo momento lirico, ma poco al loro potere drammaturgico. Il mio compito è fare in modo che la musica esprima le emozioni che si nascondono dietro la parola, secondo il ritmo, i temi, i colori orchestrali e le tonalità della scrittura verdiana.

A quasi 170 anni dalla prima Rigoletto è ancora uno specchio della società?
La modernità di Rigoletto è assoluta. Si pensi solo alla centralità del tema – purtroppo attualissimo – della violenza sulle donne. Verdi ci presenta una classe dominante di cortigiani amorali che passano il tempo a spettegolare o a tessere trame crudeli. Fra loro il Duca di Mantova è l’archetipo del prevaricatore abituato a esercitare la sessualità come strumento dispotico di potere. D’altro canto, la stessa Gilda, che del Duca è vittima, è ben diversa dalla creatura sacra e inviolabile idealizzata da Rigoletto: il “quanto amore” che rileva nel primo atto per lei è anche troppo, dato che soffoca la sua libertà di donna.

Qual è la cifra musicale con cui Verdi ingabbia la personalità di Rigoletto?
Rigoletto è già descritto perfettamente nel Preludio dal motto con il do minore ribattuto all’infinito. Quel gesto sonoro ossessivo connota la sua deformità non solo fisica ma psichica: Rigoletto è un pazzo avvelenato dal suo stesso sarcasmo, un povero disgraziato che è causa del suo male: ha rinchiuso Gilda in una prigione dorata per proteggerla dalle aberrazioni del mondo, ma non potrà salvare la fanciulla dalla voglia insopprimibile che ha di vivere e amare. L’umile reietto, come Verdi ci insegna, non può evitare il proprio destino.

Valentina Crosetto