Diego Fasolis è considerato da tempo tra i punti di riferimento internazionali per il repertorio barocco. Dirigerà Agnese di Paer, in scena al Teatro Regio di Torino dal 12 al 24 marzo 2019.
Con Agnese di Paer, come già con Rossini si addentra nell’Ottocento…
«La passione per l’ambito barocco, nel mio caso, si è innestata su un carattere da musicista romantico, cresciuto all’ombra del sinfonismo organistico parigino. Mi sento stimolato, in generale, da qualsiasi repertorio che permetta di costruire con i musicisti un’intesa davvero efficace, a beneficio del pubblico e della qualità del lavoro e della vita».
Abbiamo evocato il nome di Rossini, non a caso: fu soprattutto l’astro nascente del pesarese, all’epoca, a offuscare la fama di Paer?
«Direi di sì. Rossini ha contribuito a porre nel dimenticatoio, tutta una serie di ottimi e acclamati professionisti, tra i quali spicca – appunto – Ferdinando Paër, il quale ricopriva, nella Parigi di primi Ottocento, una posizione di grande influenza, non solo musicale. Bellini aveva sperato di ereditarne il ruolo di direttore del Théatre des Italiens, ma morì troppo giovane. Fu Rossini, invece, a prendere il posto di Paer, anche se con modesti risultati».
Agnese è opera di un autore italiano con schietta vocazione europea e esperienze importanti a Vienna e a Parigi…
«Lo sforzo dei compositori italiani, storicamente, è sempre stato quello di mantenere ricco e fruibile il tessuto orchestrale a sostegno della voce e del bel canto. In Agnese, questo aspetto risulta evidente e la composizione ha il pregio di non palesare cedimenti nella forma, né nell’orchestrazione».
Sulla prima versione di Agnese, andata in scena a Parma nel 1809, Paër apporterà varie modifiche in occasione delle riprese a Parigi: questione di gusto o di opportunità?
«La chance di avere Giuditta Pasta come amica e interprete di Agnese fu tanto preziosa da imporre all’autore qualche “aggiustamento”, per il successo dell’opera e il piacere del pubblico».
L’edizione che portate al Regio tiene conto delle diverse versioni dell’opera?
«Abbiamo pensato di offrire al pubblico il massimo possibile in termini di quantità e qualità, recuperando i nuovi brani scritti per Parigi senza applicare i tagli del 1817 né quelli, ancora più brutali, del 1824. Ascolteremo, cioè, tutta l’opera nella struttura originale della prima a Parma, con l’aggiunta dell’aria del tenore, la “nuova” aria di Agnese e il “nuovo” duetto dei due personaggi».
Nel caso di Agnese, si può parlare già di repertorio belcantistico?
«Personalmente trovo che il bel canto italiano si esprima già attraverso il “recitar cantando” e la “sprezzatura” e, dunque, ricorra pure in tutta la scuola barocca. Paër è un belcantista, sì, ma allo stesso modo in cui lo sono pure Vivaldi, Mozart, Bellini o Verdi».
Qual è, dal suo punto di vista, il valore di un’operazione di recupero e rivalutazione come questa, che restituisce all’attenzione del pubblico un autore e un titolo trascurati da troppo tempo?
«Agnese è solo una delle tante opere straordinarie che giacciono in archivi più o meno prestigiosi di tutto il mondo. Oggi molti teatri iniziano a proporre qualcosa di nuovo al pubblico: l’idea produce buoni risultati, specialmente in ambito barocco, dove spesso si fa ricorso a strumenti originali. Poco a poco, però, la platea si sta aprendo con curiosità anche al repertorio di epoche meno remote e altrettanto ricche di sorprese; sempre in attesa che venga fuori un Mozart contemporaneo che regali nuovi entusiasmi!»
Stefano Valanzuolo