Tristano e Isotta: 5 domande a Gianandrea Noseda

Maestro Noseda, è la prima volta che dirige Tristano e Isotta. Si ricorda la prima volta che l’ha ascoltato in teatro?
«Me lo ricordo. A Bayreuth con Daniel Barenboim che dirigeva e le voci di Siegfried Jerusalem e Waltraud Meier: spettacolare! La magia di sentire il Tristano quando non vedi né direttore né orchestra e quindi il suono nasce dal niente… Quando ho iniziato a dirigere Preludio e morte di Isotta, inizio e fine dell’opera, in forma di concerto, continuavo a pensare a quell’immagine della sala che diventa buia, a quel suono che nasce dal nulla che mi ha stregato, perché non si può riprodurre».

Se Tristano e Isotta non esistesse, la storia della musica sarebbe diversa?
«È difficile ragionare con i se e con i ma, ma sono convinto che sarebbe andata in un’altra direzione, anche se non so dire quale! E’ incredibile il cambio di marcia che Wagner compie con Tristano. Io adoro Lohengrin, penso che sia un’opera stupenda, poi arriva Tristano e pensi: ma il Lohengrin non faceva percepire il Tristano! Da dove salta fuori? Sì, è vero, aveva già iniziato il Ring e lo interrompe per scrivere Tristano, però… Nel Tristano c’è una facilità di mano, di scrittura incredibile per una pagina così nuova».

Quindi è più un’opera di amore o di morte?
«Di entrambe, perché l’amore non può esistere senza la morte. Tristano è il tentativo spasmodico di un essere umano, di Wagner, di creare, di ricreare una continua  situazione di estasi. E ci riesce: dove tutto è bello, dove l’estasi si prolunga, dove il momento del godimento e dell’amore si può prolungare nel tempo. E quando arriva al suo acme tu muori, è una musica dove amore e morte si abbracciano e si baciano intensamente».

In quest’opera la notte quanto è importante?
«La notte ti permette di essere te stesso, di giorno devi assumere il tuo ruolo formale, quello che la società ti ha dato. Di giorno sei Il cavaliere al servizio del re, nella notte sei Tristano, sei il vero te stesso».

Quali sono le difficoltà per l’orchestra? La concentrazione? La tenuta?
«Sicuramente perché è un’opera lunga, però la tenuta di per sé è una questione di resistenza. Quello che bisogna ottenere è di trattarla come se fosse una grande opera di musica da camera cosa che ovviamente non è perché ci sono tante masse che suonano, ma tutto deve essere intelligibile».

 

Susanna Franchi