All’ampia schiera di appassionati del pianoforte si schiude una seconda metà di gennaio allettante. Si comincia col ritorno del duo pianistico più collaudato della scena internazionale, quello formato da Katia e Marielle Labèque, si prosegue col recital di Nikolai Lugansky, nome di spicco nella fascia dei solisti più o meno quarantenni del momento: il tutto per una proposta che mette insieme repertorio, curiosità, fascino melodico e suggestioni ritmiche incalzanti.
Di ritmo, in particolare, sembra vivere il concerto che alle Labèque affianca due percussionisti di rango come Simone Rubino e Andrea Bindi. L’unico brano della scaletta che unisce i quattro protagonisti è la Sonata per due pianoforti e percussioni (1938), pagina importante nel catalogo di Bartók che da essa, per ampliamento di forme e intenti, trarrà poi il Concerto per identico organico solista, acclamato dalla critica newyorkese. Alla stessa fase storica appartengono anche i sette studi che Bartók ricavò dal catalogo dei centocinquantatré che formano il Mikrokosmos per pianoforte solo e trascrisse per doppia tastiera. Un lavoro di etnomusicologia ante litteram, il Mikrokosmos, un imponente work in progress durato quindici anni, una pietra miliare nello studio dei rapporti tra stile colto e popolare. La locandina del concerto concede spazio anche a due novità di raro ascolto. Come El Chan del quarantaduenne autore americano Bruce Dessner, brano nato per quartetto (2016) e poi affidato ai due pianoforti delle sorelle Labèque, a testimonianza del legame stretto che Katia e Marielle amano intrattenere con gli autori di oggi. Ha una storia più lunga, invece, Thirteen drums del giapponese Maki Ishii: rimanda al 1985 ed è un pezzo di bravura destinato a percussionisti in vena di straordinari. Per chi non sappia fare a meno di atmosfere consuete, comunque, c’è anche Brahms con le sue Danze ungheresi.
A proposito di sano Ottocento tedesco, ci spostiamo su Lugansky, che partirà da Schumann e Chopin per giungere al prediletto Rachmaninov, i cui quattro Concerti ha inciso con successo sotto la direzione di Sakari Oramo. Secondo “The Guardian”, anzi, non esiste miglior Rachmaninov di quello di Lugansky, e ciò dopo l’ascolto in disco di Preludi e Momenti musicali. Nikolai – che a Torino nel 2011 suonò con Temirkanov e la Filarmonica di San Pietroburgo, Rachmaninov, neanche a dirlo – si definisce “predestinato del pianoforte“. Forse è vero, se si pensa che a consacrarne il talento per prima fu la sua maestra Tatjana Nikolaeva e che neppure un incidente stradale è riuscito a impedirgli di vincere concorsi in serie, di suonare con le grandi orchestre ed i grandi direttori di tutto il mondo e di essere annoverato, a quarantacinque anni, nel Gotha del pianoforte.
Stefano Valanzuolo