«Estroverso e flessibile, il ClaraEnsemble è un gruppo tutto mio»
Intervista a Cristina Zavalloni

«ClaraEnsemble. A cosa le fa pensare il nome?». Così a rispondere alla prima domanda non è Cristina Zavalloni, bensì chi scrive. Alla luce, rispondo. Ad una luce intensa, antica nel suo splendere e ne suo diffondersi. «Quello cui ho pensato io – afferma Cristina Zavalloni –. Clara: un oggetto luminoso, un colore brillante, intenso. Del resto, nel cercare un nome da dare al mio ensemble – quello che finalmente ho deciso di costituire e che ora l’Unione Musicale accoglie al suo debutto (mercoledì 6 febbraio 2019, Conservatorio Giuseppe Verdi – ore 21) – avevo trovato il suono giusto nel titolo di un festival: il Klara di Bruxelles. Sostituisco la “K” con la “C” ed ecco l’illuminazione: Clara. Ovvero Clara Wieck Schumann. Una grande pianista, una compositrice, ma soprattutto una donna che con il suo estri, con il suo istinto, con la sua arte ha contribuito in maniera importante alla storia ella musica ottocentesca. D’altronde, quando ho cominciato a pensare che era giunto ormai il momento di costituire un mio ensemble, proprio il repertorio che ho frequentato di meno – quello ottocentesco perlappunto – mi è sembrato dovesse essere al centro del mio interesse. Ed eccoci dunque nuovamente a Clara, un nome nel quale s’incontrano l’arte e la vita di una protagonista della storia della musica e al tempo stesso il mio personale desiderio di dar luce, una nuova luce, alla mia carriera».

Dunque, un suo ensemble. Non è comune che una cantante ne costituisca uno. Lei afferma di averne sentito la necessità…
«È semplice. Nella mia carriera ho collaborato, e collaboro, con moltissimi artisti. Spesso in occasione di tali collaborazioni nasce il desiderio di dar vita a questo o quel brano. Ad esempio, La Bonne Chanson di Fauré, ciclo che, pur essendo lontano dalla mia estetica, mi ha sempre attratto, e ho avuto più volte la possibilità di cantare. Però, poi, il resto del programma prendeva forma, com’è del resto del tutto naturale, da un compromesso tra i miei desiderata e quelli dei colleghi. Così, consigliandomi con Massimiliano Canneto, il secondo violino del Quartetto Mirus, un musicista che mi somiglia molto, estroverso, flessibile, ho composto l’organico. Con un’idea precisa in testa: biodiversità. Ovvero ciascuno è se stesso e dà il suo apporto restando se stesso. Ed ora, dopo mesi di alacre lavoro, eccoci finalmente alla prova del pubblico».

Fabrizio Festa