«Provo a spiegare meglio l’opinione cattiva che ho sempre avuto sul violinismo paganiniano (indispensabile, cioè, per eseguire efficacemente Paganini) e che mi ha reso impopolare fra i cultori». Così comincia l’ultimo articolo pubblicato da Domenico Nordio sul suo blog, intitolato sardonicamente Il libro nero di uno strimpellatore. Non serve molto altro per rendersi conto di come il violinista veneziano sia uno spirito libero, inquieto, insofferente di banalità e luoghi comuni.
Nordio non vede di buon occhio i giornalisti – cosa che mette leggermente in apprensione chi si accinge a schizzare questo ritrattino – ma dimostra di avere una penna altrettanto caustica e brillante quando decide di esprimersi a parole. Forse avrebbe sognato di esercitare un’altra professione nella vita, ma l’enorme talento ricevuto in dono l’ha in pratica costretto a diventare un violinista. Anzi, un enfant prodige del violino, visto che si esibiva come solista ancora in calzoni corti e ha vinto il Concorso Viotti di Vercelli a soli sedici anni, nel 1987, con una giuria presieduta niente meno che da Yehudi Menuhin.
Quando il demone della musica s’impossessa di un ragazzo così presto, non c’è scampo e tocca dedicarsi anima e corpo allo studio dello strumento, anche quando si vorrebbe correre dietro un pallone inzaccherati di fango o andare al cinema con la ragazzina dagli occhi blu conosciuta a scuola. In altre parole, la lunga e fortunata attività di Nordio, costellata di sale prestigiose e collaborazioni importanti, non ha placato e addomesticato il suo animo incontentabile, sempre pronto a uno scatto e a una zampata ironica brahmsiana. Le sue mani irrequiete hanno bisogno di misurarsi con sfide sempre nuove e diverse, come dimostra un repertorio in cui, accanto ai classici, svettano autori del Novecento come Malipiero, Casella, Busoni, Castelnuovo-Tedesco, fino ad arrivare ai maestri di oggi come Fabio Vacchi, di cui Nordio ha interpretato l’inquieto e impervio concerto per violino Natura naturans. Anche il programma scelto per il nuovo incontro con il pubblico dell’Unione musicale, in cui Nordio torna (mercoledì 6 novembre, Conservatorio, ore 21) come direttore e solista con l’Orchestra Vivaldi, reca le tracce dei suoi percorsi fuori pista. La musica italiana, infatti, sembra ondeggiare qui come non mai tra i flutti di sentimenti tempestosi e disperati, in ogni caso sempre eccessivi e teatrali, come si addice al Paese del melodramma.
Fratelli d’archetto e di talento, Nordio e Marco Rizzi sono separati in realtà da tutto il resto. Marco Rizzi potrebbe prendere in prestito da François Mitterrand il famoso slogan «la forza tranquilla». Pochi musicisti possono dirsi altrettanto solidi e preparati alle incerte vicende della professione artistica. Nato in una famiglia del tutto estranea al mestiere della musica, Marco e il fratello maggiore Carlo, diventato un famoso direttore d’orchestra, sono cresciuti all’ombra del Conservatorio di Milano. La nonna sosteneva che Marco suonasse bene anche il campanello di casa, e così senza strappi, coltivato con intelligenza e amore dalla famiglia e dai maestri, a cominciare dal professor Giuseppe Magnani, solido primo violino dell’allora Orchestra Sinfonica Rai di Milano, il giovane Rizzi ha percorso in fretta tutte le tappe di una carriera esemplare.
Dal Conservatorio di Milano è passato a quello di Utrecht, per perfezionarsi con il grande didatta russo Viktor Libermann. Nel frattempo, però, Rizzi ha vissuto l’esperienza cruciale dell’Orchestra Giovanile Europea, in cui è stato violino di spalla per quattro anni, imparando cose fondamentali sulla concreta realtà della vita musicale. Poi sono venuti i grandi concorsi internazionali, come il Čajkovskij di Mosca e il Queen Elisabeth di Bruxelles, dove ha sempre ottenuto premi di rilievo. In altre parole, un musicista solido, affidabile, che non ha mai sbagliato un colpo, il compagno ideale che si vorrebbe avere al fianco in ogni avventura.
Non c’è da meravigliarsi che Rizzi sia oggi uno dei docenti più ricercati e stimati a livello internazionale, con cattedra alla Hochschule di Mannheim e alla Scuola Superiore di Musica Reina Sofia di Madrid. Trasmette ai ragazzi fiducia e serietà, che per i giovani musicisti, esposti ai più lievi soffi della rosa dei venti, sono un balsamo vitale. Rizzi e Roberto Arosio suonano a Torino (mercoledì 13 novembre, Conservatorio, ore 21) un programma affascinante, intitolato Caleidoscopio.
Le “belle immagini” sono le molteplici rifrazioni temporali di una delle più antiche e prolifiche forme musicali. Passagallo, nell’antico italiano di Veracini, o Ciaccona, come l’ha elevata a idea universale Bach, o più semplicemente tema e variazioni, secondo la semplicità francescana del titolo imposto da Olivier Messiaen, uno di connoisseur più eruditi del repertorio musicale: il principio è sempre lo stesso, in quali infiniti modi può cambiare nel tempo la medesima forma musicale, anche quando i contorni della struttura si fanno evanescenti come nel caso di Fratres di Arvo Pärt.
Oreste Bossini