«Lasciatevi conquistare dal mio violino intimo!»
Il fenomeno Tjeknavorian all’Unione Musicale

Nel sangue ha il dna di due imperi, fra le mani uno Stradivari del 1698, costruito quando Mozart e Beethoven non erano ancora nati. Ad appena 24 anni il violinista viennese di origine armena Emmanuel Tjeknavorian è già un fenomeno dell’archetto conteso dai teatri di tutto il mondo, con una fitta agenda di concerti degna di una rockstar. Il volto e i modi sono però quelli del ragazzo della porta accanto tutt’altro che bizzoso, sempre sorridente e mai arrogante nonostante il successo ottenuto in pochi anni. Il debutto all’Unione Musicale con Aaron Pilsan al pianoforte il prossimo 29 gennaio sarà una delle ultime date della tournée cameristica che, subito dopo le festività, li porterà in giro per l’Italia da Trieste a Milano, da Venezia a Torino.

Maestro Tjeknavorian, da quando, nel 2015, si è aggiudicato il premio per la Migliore interpretazione e il secondo premio al Concorso Jean Sibelius è balzato all’attenzione internazionale. Pensa che le competizioni siano un “male necessario” per i giovani che vogliano intraprendere una carriera da virtuoso?
«I concorsi offrono ai giovani la spinta adatta per sviluppare il proprio talento e acquisire preziose conoscenze. Ma la storia insegna che non basta un premio per raggiungere il successo. Vincere una competizione è solo un tassello del puzzle. Aiuta, ma non è indispensabile».

Per un solista che colleziona collaborazioni con orchestre e direttori di fama mondiale che cosa rappresenta la musica da camera?
«Per me è la base del fare musica, una sorta di conversazione privata che intrattengo con il pubblico. Cerco di avvicinarmi a quel tipo di intimità anche quando sono accompagnato da grandi orchestre. Con i partner giusti sul palco un concerto cameristico può risultare straordinariamente appagante».

All’Unione Musicale si esibirà accanto al pianista austro-rumeno Aaron Pilsan, altra stella nascente del concertismo internazionale. Com’è nato il vostro sodalizio?
«Ho conosciuto Aaron nel 2017, quando abbiamo suonato la Fantasia in do maggiore D 934 di Schubert. Dal nostro primo incontro siamo diventati amici molto presto dentro e fuori dal palco. Ogni volta è davvero emozionante tornare a fare musica insieme a partire dall’amicizia che ci unisce».

A Torino proporrete pagine di Beethoven, Schubert, Fauré, Messiaen e Kreisler. Che cosa le accomuna?
«Il programma che presenteremo è un affascinante viaggio musicale nel repertorio austro-francese che spazia dal classicismo al Novecento. Spero che il pubblico torinese rimanga conquistato dall’infinita gamma di emozioni offerte!»

La Sonata in fa maggiore op. 24 di Beethoven, detta “La primavera”, è uno dei suoi lavori più sereni. Qual è il segreto per farla propria?
«È musica incredibilmente soave, pura ispirazione, solo a guardare la partitura. Non è difficile sentire la freschezza melodica di questa sonata: più la suoni e più ti appartiene».

Il Rondò brillante, composto per il violinista ceco Josef Slavík (considerato da Chopin un secondo Paganini), si richiama allo Schubert più estroverso e amabile. Che grado di difficoltà tecnica è richiesto al solista? E al pianoforte?
«Il Rondò è un’opera insolita di Schubert: non è particolarmente intellettuale, ma richiede a entrambi gli strumenti doti virtuosistiche d’eccezione. All’autore non interessava mettere violino e pianoforte a proprio agio, perciò in partitura molti passaggi e fioriture sono unici nella loro complessità».

Il Quatuor pour la fin du Temps, che si chiude con la Louange à l’Immortalité de Jésus, è il pezzo cameristico più originale e toccante di Messiaen. La prima esecuzione si tenne nello Stalag di un campo di prigionia tedesco in cui l’autore fu internato nel 1940, con degli strumenti scordati e davanti ad altri 500 prigionieri. Che valore attribuisce a questa vetta compositiva del Novecento?
«È sempre emozionante interpretare il movimento finale del Quatuor ripensando a quando fu concepito. Si tratta di un brano impegnativo non solo a livello emotivo, ma anche fisicamente: il braccio che sostiene l’archetto deve rimanere molto stabile per tenere le note lunghissime di questa lenta ascesa dell’uomo verso Dio».

Che cosa la attrae della Sonata per violino e pianoforte op. 13 di Fauré?
«Adoro la passione sconfinata di questo pezzo: è difficile mantenere il controllo e non perdersi nelle sue vibranti emozioni. Ricordo di aver suonato una volta il secondo movimento e di aver sentito il mio battito cardiaco accelerare all’improvviso. Non è musica innocua se ne sei ossessionato».

La Fantasietta rapsodica di Kreisler evoca lo spirito del valzer di Vienna. Cosa rende questa città così speciale?
«Vienna è senza dubbio la capitale della musica classica. I più grandi compositori della storia hanno vissuto e amato Vienna. Ancora oggi, quando cammini per le strade della città, puoi avvertire quella magia».

Non ha mai fatto mistero della sua passione per il calcio. Il violino e lo sport possono andare a braccetto?
«Purtroppo, non gioco più regolarmente, ma durante i viaggi e nel poco tempo libero che mi resta seguo sempre le partite e i risultati».

Valentina Crosetto