Francesca Dego, scrittrice e violinista. «Suono il Beethoven mio coetaneo, pieno di gioia di vivere»

Francesca Dego ha appena dato alle stampe Tra le note. Classica: 24 chiavi di lettura, un libro pensato soprattutto per avvicinare al mondo della grande musica chi poco la conosce e la frequenta.

E dopo l’archetto venne la penna. Che cosa c’è dietro la sua avventura di autrice?
«Quella del libro è stata un’autentica, enorme sorpresa. Un anno fa ricevetti una chiamata da Mondadori con la proposta di scrivere un libro. Sino ad allora la scrittura era stata innanzitutto una passione personale; poi ho scritto articoli per alcune riviste inglesi (mia madre è americana e sono bilingue) come “BBC Music Magazine” e “Gramophone”, e da qualche tempo curo una rubrica su “Suonare News”. Conoscendo un po’ come vanno le cose nel mondo dell’editoria (mio padre è stato giornalista e scrittore), ho provato una sensazione surreale: in genere sono gli autori che cercano un editore, non il contrario! Allettata dalla proposta, confesso che all’inizio ho sottovalutato l’impegno che mi ha poi effettivamente richiesto, anche perché ho voluto proporre un’angolazione del tutto personale: sono partita dalla mia esperienza, da come le mie passioni mi hanno influenzata e fatta diventare ciò che sono».

Mi ha colpito molto leggere frasi come «è stupendo avere delle certezze, vivere in un mondo, come il mio, in cui Bach apparterrà sempre alla top ten». Come si fa a far entrare la classica nella top ten dei giovani? Questo libro può essere una chiave di accesso?
«Io credo e spero assolutamente di sì. Ho cercato un tono da interlocutore nei confronti del lettore, ma non accondiscendente, non da “amicone” come capita di leggere. Non credo che si possano “portare persone alla classica” a quel modo: è irrinunciabile che ci sia dall’altra parte almeno una piccola voglia di approfondire. Le difficoltà in questo senso nascono prima, a scuola: ricordo che al liceo magari c’erano argomenti che potessero non coinvolgere pienamente tutti, ma almeno 2 o 3 ragazzi sì; ma se non c’è musica nel sistema scolastico si perdono anche quei 2 o 3, numeri che sul totale farebbero tanto. Fatta questa premessa, ho scelto di raccontarmi e raccontare la musica in modo schietto per poter capire insieme al lettore, a chi non è avvezzo alla musica classica, cosa possiamo avere in comune e cosa no. Non possiamo pretendere che, se a uno non piace il cioccolato, la torta Sacher che a noi piace tanto debba piacere per forza anche a lui…»

Servono, a questo scopo, le serie e i programmi televisivi, italiani e non, da Amadeus Factory alla Compagnia del Cigno, o piuttosto come Mozart in the Jungle?
«Secondo me un po’ sì, sono utili nella misura in cui si parli della classica come di un ambiente che non è del tutto rimosso e lontano dalla realtà; anzi che è intrigante e pieno di vita. Sarebbe sempre il caso di offrirne una visione la più vera e onesta possibile, e a tratti purtroppo in queste operazioni si vuole strafare, restituirne un ritratto quasi caricaturale. Per il passo successivo, però, serve la scuola e servono i genitori, serve un clima culturale fertile. Serve il supporto all’idea che “no, non creerà un bacino elettorale, però la cultura è importante per il mantenimento di una democrazia, della società”. A livello globale i giovani che si dedicano professionalmente alla musica classica stanno aumentando, e girando per il mondo, in particolare in Sud America o in Asia, vedo sale con pubblico numeroso ed entusiasta».

Parliamo ora di questo ciclo completo della musica per violino e pianoforte di Beethoven. Lei ha già registrato l’integrale per Deutsche Grammophon con Francesca Leonardi, e insieme l’avete eseguita diverse volte. Proviamo a tracciare una storia dei due strumenti-personaggi: come sono i loro caratteri e come cambia il loro rapporto nel corso delle dieci Sonate?
«In questa “vicenda” raccontata da Beethoven vediamo realmente nascere il concetto di sonata a due nella storia della musica. Nelle prime tre-quattro sonate il pianoforte ha ancora una notevole preponderanza sul violino – perché era lo strumento per eccellenza oltre che lo strumento dell’autore. Quello che Beethoven cerca, e ottiene, è rendere progressivamente paritetico questo rapporto. La svolta è nella “Primavera”, che è la prima Sonata in assoluto in cui il tema viene esposto prima dal violino. Sembra una cosa scontata, ma è la prima volta che succede: in qualunque Sonata precedente, non solo di Beethoven, il violino lasciava enunciare il tema al pianoforte e soltanto dopo interveniva, prendeva le redini per un attimo, o sosteneva e accompagnava. Quell’inizio cambia veramente le sorti del gioco: da lì in avanti incontriamo un violino che battaglia sempre di più, che diventa sempre più forte, sino ad arrivare alla “Kreutzer”, dove il violino, fatto ancor più rivoluzionario, comincia da solo e con un tema accordale, molto pianistico se vogliamo, ma anche bachiano, il Bach delle Sonate e Partite. Soltanto dopo un silenzio il pianoforte riprende il motivo. E anche nella decima Sonata, anche se solo per due battute, è il violino a iniziare. C’è dunque un percorso incredibile da raccontare, nel rapporto tra i due strumenti, nella lotta per la supremazia, in un certo senso. Un percorso costruito quasi per intero (tranne l’ultima, più introversa) da un Beethoven mio coetaneo, pieno di gioia di vivere ma già totalmente se stesso».

Dieci sonate e quattro concerti: il pubblico riuscirà a seguire questa storia?
«Abbiamo mantenuto un ordine cronologico all’interno di ciascun concerto, ma non nel ciclo totale, in modo che il pubblico avverta la dinamica del cambiamento tra le prime e le ultime Sonate all’interno di ciascun programma. Iniziamo con la Prima e concludiamo con la Decima, ma quello che succede in mezzo è tutto calibrato affinché si apprezzino il prima e il dopo, la nascita e lo sviluppo di una storia avvincente».

Simone Solinas