Durante il Classicismo l’orchestra assunse la sua forma standard: la ricerca di un suono più chiaro ed equilibrato portò all’esclusione di molti strumenti che arricchivano gli esuberanti complessi barocchi. Ma, come capita con tanti animali esotici, questi strumenti, esclusi dalle orchestre e dal repertorio più usuale, continuarono a sopravvivere in ambiti più ristretti e intimi.
Tale classicismo insolito sarà il protagonista del concerto dell’ensemble Guerra Amorosa, lunedì 12 luglio alle ore 20 al Teatro Vittoria, per il ciclo L’altro suono.
Maestro La Marca, come nasce Guerra amorosa?
«Il percorso parte dagli strumenti. Sono docente di viola da gamba e, alcuni anni fa, un collega mi portò uno strumento strano, costruito nel 1973: molto simile a una viola da gamba, con la stessa accordatura, ma con le corde di risonanza. In quello stesso periodo mi ritrovai con un collega, Raffaele Tiseo, che oltre ad essere violinista si dedica anche alla viola d’amore, uno strumento che somiglia molto a quello che avevo ricevuto perché anch’esso ha delle corde che vibrano passando sopra l’arco e delle altre corde che vibrano per simpatia. Con questo incontro mi si è accesa la lampadina! Perché non provare a mettere insieme strumenti così imparentati come la viola d’amore, la viola da gamba e il mio strumento?»
Esattamente, qual è il suo strumento?
«È molto difficile dargli un nome. Al Museo degli strumenti musicali del Castello sforzesco di Milano ne ho trovato uno molto simile che viene indicato come baryton: questo mi ha dato la sicurezza di poter utilizzare questo termine, anche se usualmente viene impiegato in modo un po’ diverso. Del baryton si conosce la possibilità di pizzicare le corde di risonanza con il pollice per realizzare l’accompagnamento mentre si fa la melodia con l’arco. In realtà lo strumento che utilizzerò a Torino, così come quello del Museo, è molto particolare perché non ha il manico scavato all’interno, e quindi le corde di risonanza funzionano come quelle della viola d’amore».
Qual è il repertorio per baryton?
«Abbiamo trovato tantissimo materiale soprattutto nei Trii di Haydn, perché questo compositore era alle dipendenze del principe Esterhazy, che amava il baryton. Haydn scrisse più di cento Trii e Divertimenti per viola da braccio, baryton e violoncello. Noi abbiamo pensato di eseguire questi brani non nel modo usuale, ma con strumenti molto simili fra di loro per qualità di timbro e qualità di armonici, cioè il baryton, la viola d’amore (al posto della viola da braccio) e la viola da gamba (al posto del violoncello). Noi siamo stati i primi a fare questo accostamento, che dà come risultato una sonorità molto interessante, molto bella».
Come descriverebbe il programma che proporrete all’Unione Musicale?
«Diciamo che è un tuffo nella musica della fine del Settecento e dell’inizio dell’Ottocento: nel programma, i compositori presentati sono vissuti tutti nello stesso periodo. C’è anche un’altra particolarità: noi proponiamo un Trio di Luigi Tomasini, che era il primo violino dell’orchestra del principe Esterhazy, e quindi lavorava con Haydn. Anche lui ha scritto Trii per baryton, che sono molto interessanti anche se diversi da quelli di Haydn».
Proporrete anche due Sonate…
«Sì, tramite le Sonate facciamo ascoltare dei dialoghi a due. Nella Sonata di Borghi il baryton accompagna la viola d’amore: gli armonici prodotti da questi due strumenti danno un risultato molto diverso rispetto a un’esecuzione fatta con un violoncello o con un altro tipo di basso ad arco e crediamo che sia molto interessante!
L’altra Sonata è di Abel, un compositore che si è dedicato principalmente alla viola da gamba. Eseguiamo il brano con baryton solista accompagnato dalla viola da gamba: in questo modo, i vari strumenti, imparentati dalle tecniche costruttive e un po’ dalla storia, hanno modo di presentarsi in diverse combinazioni».
I pezzi che proporrete si ascoltano piuttosto raramente. Esistono gli spartiti in edizione moderna oppure dovete fare un lavoro di ricerca nelle biblioteche?
«Tutti e due. Ad esempio, il nuovo lavoro che andremo a registrare nei prossimi mesi include anche un Quartetto scritto da Respighi nel 1906 per viola d’amore, viola da gamba, viola da basso e quinton (che è una viola da gamba piccola, a cinque corde, accordata in un modo particolare). Si tratta di un fenomeno rarissimo perché nell’Italia di inizio Novecento la viola da gamba era uno strumento quasi dimenticato, tant’è che di questo pezzo non esiste un’edizione a stampa, ma solo il manoscritto di pugno di Respighi conservato alla Biblioteca musicale di Bologna. Dobbiamo fare anche ricerca perché non è facile trovare queste composizioni, ma ogni scoperta è appassionante! Tra l’altro, posso anche anticipare che il nuovo programma su cui stiamo lavorando comprenderà sia altri Trii di Haydn sia alcune trascrizioni, perché abbiamo visto che il nostro è un ensemble molto flessibile, che si adatta bene a eseguire varia musica».
A parte qualche caso isolato, la fortuna della viola da gamba, del baryton e in certa misura anche della viola d’amore entrò in declino dopo il Settecento. Come spiega questo fenomeno?
«In realtà si è trattato di un processo molto lungo. Da una parte, questi strumenti erano visti come tipici dell’élite: li suonavano personaggi come Luigi XIV, e, più indietro nel tempo, Enrico VIII in Inghilterra era un appassionato di viola da gamba. Ma soprattutto c’è una questione di suono. Questi strumenti erano utilizzati in ambienti piccoli, come i saloni da musica dei castelli: lì raggiungevano la loro maggiore potenzialità espressiva. Nell’Ottocento, con teatri sempre più grandi, si è cercato di utilizzare strumenti che potessero avere un suono più potente e diretto, pur perdendo un po’ di armonici. In quel periodo si usava prevalentemente il violoncello perché ha una proiezione maggiore del suono e quindi può funzionare in uno spazio molto grande, invece gli armonici prodotti dalle corde di risonanza si possono apprezzare in ambienti più piccoli».
Il nome del vostro ensemble, Guerra Amorosa, fa riferimento a questa intimità del suono?
«Il nome del gruppo proviene dalla cantata Dalla guerra amorosa di Händel, che avevo registrato qualche anno prima della formazione del gruppo. La parola “guerra” allude al dialogo fra gli strumenti, inteso come contrapposizione, ma senza cattiveria, anzi del tutto piacevole. Poi, si dice che la viola d’amore abbia questo nome proprio per la vibrazione per simpatia delle corde. Siccome noi abbiamo strumenti con corde che vibrano per simpatia, allora ci piaceva utilizzare il termine “amoroso” per indicare le vibrazioni intime di tutti gli strumenti».
“Dalla guerra amorosa… fuggite!” canta il coro nella composizione di Händel. Lei come risponde?
«Accorrete alla guerra amorosa!»
Liana Püschel