Antonio Ballista è un fiume in piena, un fiume limpido e spigliato, che si muove con lucidità e una buona dose di diletto, per nulla scalfita dalla lunghissima esperienza. Da sempre autenticamente aperto a scoprire musica di qualità senza distinzione di genere, porta ora all’Unione Musicale (domenica 13 giugno, ore 16.30) la sua Hit Parade, ossia “Il meglio della canzone secondo me”, un gustosissimo match tra pezzi classici che sembrano canzoni, e canzoni che sembrano pezzi classici.
Maestro Ballista, una volta lei ha detto «Ci sono sinfonie noiosissime e canzoni strepitose. I capolavori stanno da entrambe le parti». Ecco, ma come si riconosce un capolavoro della canzone? Quali aspetti fanno di una canzone “la migliore secondo lei”?
«L’emozione di un istante, fissata con impareggiabile intensità, ecco ciò che mi seduce di più in una canzone. È ciò che ritrovo immancabilmente in tutte le canzoni di Cole Porter che non a caso ho collocato alla fine del mio concerto, al primo posto della mia personale classifica. Cole Porter che alla canzone ha saputo più di tutti dare grazia e fascino, malinconia ed eleganza, commozione e classe, nell’epoca che meglio ha incarnato queste caratteristiche: gli anni Venti e Trenta del Novecento».
Molti anni fa lei realizzò la prima esecuzione di Blue Dream. L’età d’oro della canzone di Salvatore Sciarrino, il quale ebbe a dire: «Le canzoni rappresentano un po’ l’equivalente dei fiori: belle sì, ma effimere… ma di fronte all’eternità proclamata da un’ingannevole sinfonia, la canzone coglie un istante che smaschera la fragilità dell’uomo». Non crede che il piacere provocato dalle canzoni abbia a che fare con questo smascheramento? Che ci conforti, in fondo, scoprirci fragili?
«Sì, è molto vero, sicuramente la nostra fragilità riceve grande sostegno dalle belle canzoni».
Nella sua “parata di successi” affianca autori leggeri e autori… di peso, insomma classici. Gli accostamenti e le trascrizioni vengono fatti pensando a “questo brano mi richiama alla mente quel tale autore” e quindi in qualche modo c’è un trascrivere alla Debussy piuttosto che alla Schubert o alla Bach?
«Tutte le trascrizioni comprese nella mia Hit Parade sono letterali, persino nel rispetto delle tonalità originali. La prima donna di questo concerto è invece il pianoforte, al cui timbro, unico fra quello di tutti gli altri strumenti, è concesso di superare il fondamento fisio-acustico per sublimarsi in dato concettuale passibile delle più varie incarnazioni semantiche. Come si spiegherebbero altrimenti i richiami pianistici dei corni nei Lieder di Schubert, evocati a ricordare le immagini del bosco romantico, sorprendentemente più reali che se fossero affidati ai corni stessi? Le trascrizioni della mia Hit Parade non hanno niente del pastiche, ma cercano di far ricordare le sonorità da cui queste musiche sono nate, di ricreare il clima delle strumentazioni originali».
Non posso non chiederle, pensando alla recentissima scomparsa di Franco Battiato e alla vostra collaborazione, se nel concerto di Torino gli dedicherà un omaggio, magari inserendo un suo brano in scaletta.
«Nelle canzoni di Battiato la simbiosi tra parole e musica è così stretta che fa respingere qualunque idea di riduzione al solo tessuto pianistico. Ma soprattutto mi è impossibile anche solo pensare di espungere dalle sue straordinarie canzoni la sua voce unica. Un mio omaggio, però, glielo propongo, qui a lato…
Da ultimo le chiedo se questo “mischiare le carte” tra i generi o, se preferisce, sparigliare le pagine dei manuali di teoria e storia musicale, rivela una morale, come nelle fiabe antiche?
«Ho sempre cercato di mettere in pratica l’aurea prescrizione di Igor Stravinskij: “Ascoltate la musica con le vostre orecchie”. Sembra facilissima, ma non lo è. Mi ha aiutato moltissimo a scegliere al di là di ogni moda o condizionamento accademico o ideologico. Quindi non ho mai considerato discriminante dal punto di vista estetico l’appartenenza di una musica ad un determinato genere. Come non concordare, poi, con il grande Leonard Bernstein che ha asserito: “Esistono solo due generi di musica: quella scritta e quella non notata”. Esistono autori troppo leggeri per un musicista di estrazione classica? Chi lo afferma crede che la profondità in musica debba necessariamente esprimersi in strutture complesse e che la semplicità e la facilità debbano conseguentemente essere identificate con la banalità. Se ciò fosse universalmente accettato dovremmo buttare via metà della musica occidentale. E non dimentichiamo che per intellettualismi di questo tipo ancora Stravinskij arrivò a dare elegantemente del cretino a Proust».
Simone Solinas