È uno tra i più brillanti e acclamati trii con pianoforte della nuova generazione. Costituitosi nel 2010, ha ottenuto fin da subito riconoscimenti di altissimo livello (tra cui il primo premio ai Concorsi Joachim di Weimar e Haydn di Vienna), ma soprattutto ha incantato il pubblico di tutta Europa con interpretazioni vivaci e intelligenti, che lasciano il segno.
Parliamo del Trio Gaspard: Jonian Ilian Kadesha (violino), Vashti Hunter (violoncello), Nicholas Rimmer (pianoforte).
Mercoledì 4 maggio (ore 20.30, Conservatorio di Torino), la formazione cameristica è a Torino, ospite per la prima volta dell’Unione Musicale, per l’unica tappa italiana del tour 2022. In programma un concerto di grande fascino, che spazia dal Classicismo viennese al repertorio tardoromantico.
Abbiamo colto al volo l’occasione per dialogare con questi giovani, ma già affermati artisti. Risponde, a nome del gruppo, il pianista Nicholas Rimmer.
Maestro Rimmer, come trio avete ottenuto grandi riconoscimenti per la lettura fresca e avvincente delle partiture che eseguite. Come riuscite a ottenere questo risultato e che cosa rende così speciale ogni vostro concerto?
«Beh, difficile dirlo… e forse il nostro pubblico potrebbe rispondere meglio di noi. In generale, non siamo molto interessati a fissare un’interpretazione durante le prove per poi proporla al pubblico. Piuttosto ci fidiamo dell’energia unica che ogni singolo concerto porta con sé. A volte si tratta semplicemente di permettere a momenti speciali di accadere. Ed è come se questi momenti traessero origine dalla concentrazione e dall’energia che ci arriva dal pubblico. Confidiamo nella nostra capacità di ascoltare attivamente e reagire al momento, più che nel “suonare come abbiamo provato”. Questo significa che a volte, forse certi piccoli dettagli non sono “perfetti”, ma è la natura della musica del vivo! Desideriamo che ogni nota sia comunicativa. Non amiamo la routine, né la mancanza di gioia e ispirazione».
Davvero affascinante ma, a proposito di prove, ci piacerebbe capire un po’ meglio come lavorate. Da quali aspetti partite per approcciare una partitura? E come conciliate le diverse sensibilità?
«Anche in questo caso, non è semplice rispondere a parole. A volte organizziamo delle prove aperte, durante le quali i nostri studenti ci ascoltano. Ed è sempre interessante sentire che cosa notano. Non abbiamo un “concetto” di prova, ma ciò che davvero ci sta a cuore è impiegare il tempo nel cercare e affinare lo stato d’animo giusto per ciò che il brano ci chiede, finché arriva il momento in cui una certa sezione o un certo passaggio “funziona”, suona naturale. Ci conosciamo anche abbastanza e abbiamo sufficiente fiducia nell’ascolto reciproco da trovarci a nostro agio con le “critiche” che arrivano dagli altri membri del gruppo… e che ci aiutano! Ma, lo ripeto, è difficile descrivere questi processi in modo più profondo e significativo: come dice il titolo di un libro di Eberhard Feltz, uno tra i maestri di musica da camera con cui abbiamo lavorato e che ci hanno ispirati, la musica è, alla prova dei fatti, “Genauer als Worte”, più precisa delle parole. Parlare delle annotazioni musicali, cosa che ovviamente facciamo durante le prove, può essere solo un’approssimazione al linguaggio che “parliamo” facendo musica».
A Torino eseguirete pagine di Haydn, Carl Philipp Emanuel Bach e Mendelssohn, però anche un Trio di Paul Juon, compositore meno noto. A cosa si deve questa scelta? E c’è un filo conduttore che collega i brani in programma?
«Sì, c’è un filo conduttore. Tutti i compositori in programma sono legati alla città di Berlino. Sia Felix Mendelssohn che Carl Philipp Emanuel Bach vi hanno trascorso una parte importante della propria vita, influenzando in modo considerevole la vita musicale della città. Il compositore russo Paul Juon vi giunse nel 1906 su invito di Joseph Joachim, caro amico di Brahms. Juon divenne un importante docente di composizione alla Hochschule für Musik, che stava fiorendo in quegli anni. La sua musica mostra una voce tardo-romantica davvero unica. I tentativi di paragonarlo a Brahms, Čajkovskij, Skrjabin, Strauss o altri fallirebbero, proprio perché la sua è una voce molto personale. Ha scritto ben cinque trii con pianoforte! Il Trio n. 4, quello che eseguiremo, è uno straordinario “poema sinfonico” per trio con pianoforte. Ha un’ampiezza da sinfonia, ma è pieno di lirismo, intimità, e include una gamma completa di personaggi differenti. Ci piace molto eseguirlo e non vediamo l’ora di condividerlo con il pubblico di Torino!»
Lorenzo Montanaro