«Utilizzo il pianoforte per creare l’illusione di altri strumenti o voci»
Intervista a Paul Lewis

Ospite dell’Unione Musicale mercoledì 9 marzo alle 20.30 presso il Conservatorio “Giuseppe Verdi” sarà il pianista inglese Paul Lewis, beethoveniano di ferro, e infatti il programma del concerto si chiuderà con l’Appassionata, ma l’apertura sarà decisamente insolita, con la Sonata D 568 di Schubert. Tra queste due grandi pagine ci saranno dei petits morceaux uno più goloso dell’altro: 6 Bagatelle op. 97 di Sibelius, Children’s Corner di Debussy, Polonaise-Fantasie op. 61 di Chopin.

Abbiamo chiacchierato con lui a proposito di questo programma così ricco.

Maestro, perché ha scelto di aprire il programma con la Sonata D 568 di Schubert, non una delle più eseguite?
«Ho deciso di aprire con questa Sonata per creare un contrasto totale con l’Appassionata. Di solito inizio e finisco con Beethoven – normalmente apro con la Patetica – ma stavolta ho voluto cominciare da Schubert. È una Sonata di bellezza incomparabile. Effettivamente non è molto eseguita, del resto come tutto il primo Schubert, almeno fino al punto di svolta della Sonata D 784. È un pezzo dal grande respiro, con una lunghezza simile all’Appassionata, ma che va in una direzione completamente diversa: ha molto calore e lirismo uniti al senso tutto schubertiano della “lunghezza”».

Che relazione ha questa Sonata con l’Appassionata di Beethoven che chiude il programma? Sappiamo, ad esempio, che Schubert venerava Beethoven: trova che ci siano degli echi beethoveniani?
«No, non penso ci siano molti echi beethoveniani. Ce ne sono in altre Sonate, per esempio nella D 958 in do minore. Se avessi scelto quest’ultima, avrei creato una diretta comparazione con l’Appassionata. Quella che ho scelto io è davvero in totale contrasto. Si potrebbe dire che rappresenta tutto ciò che l’Appassionata non è».

L’Appassionata è una sonata molto celebre e amata: è possibile dire qualcosa di nuovo su questo capolavoro?
«Quando ci si trova davanti a opere d’arte così grandiose penso che le possibilità di trovarvi qualcosa di nuovo siano infinite. C’è sempre qualcosa che “si rivela”, qualcosa che accade ad ogni esecuzione. E quasi non lo si può controllare: si fa un passo indietro e si lascia che la musica parli da sé. È la cosa migliore che noi interpreti possiamo fare per permettere alla musica di risaltare. Succede ogni volta che ritorno su questo brano: scopro dei dettagli, vedo le strutture sotto una diversa luce».

 Nella parte centrale del programma i pezzi sono più corti e più luminosi: li ha scelti come un distacco dalle due Sonate o trova che abbiano qualcosa in comune?
«Questi pezzi, specialmente le due raccolte di Sibelius e Debussy, hanno sicuramente molto più in comune tra di loro che con le due Sonate. Ci sono comunque delle reminiscenze: per esempio la seconda delle Bagatelle di Sibelius, il Lied, ricorda da vicino Schubert per la sua grande cantabilità; il piccolo Valzer, del pari, si rifà molto alla scrittura pianistica schubertiana. Infine la quinta Bagatella, Impromptu, ricorda invece quella beethoveniana. Ma il carattere generale è diverso: sono delle miniature, molto individuate e contraddistinte».

Le Bagatelle op. 97 di Sibelius sono una rarità assoluta…
«Sono davvero meravigliose. Purtroppo non si suona molto la musica pianistica di Sibelius. Ogni tanto può capitare di trovare qualche suo pezzo in concerto, ma sono brani che meriterebbero decisamente più attenzione. Basta ascoltarli per accorgersene. Pochi anni fa sono stato folgorato dall’ascolto di questi pezzi e mi è venuta immediatamente voglia di studiarli e inserirli nei miei programmi. È la prima volta che li suono in pubblico».

Maestro, lei ha detto che il bravo pianista è capace di «utilizzare il pianoforte per creare l’illusione di altri strumenti o voci». Qual è il brano che si presta meglio a questa illusione?
«Penso la grande musica per pianoforte sia quella che dà all’interprete la possibilità esprimere tante altre cose che vanno al di là dello strumento. Il pianoforte in teoria è uno strumento a percussione, ma in pratica è molto più complesso: i suoi timbri, la sua natura polifonica, i colori del suono, le sfumature, persino le differenze tra un pianoforte e l’altro offrono una vastissima gamma di possibilità. Penso che Chopin sia musica per pianoforte nella sua forma più pura. È vero che nella Polonaise-Fantasie ci sono dei momenti che si possono definire “orchestrali”, ma tutto sommato rimane musica pianistica, pur al suo apice di perfezione. Viceversa, l’Appassionata è chiaramente una partitura sinfonica. È concepita su un piano orchestrale, ha un respiro sinfonico, e compito del pianista è cercare di ricreare i colori offerti dai vari strumenti».

Luca Siri