Da alcuni anni indiscussi virtuosi del concertismo internazionale stupiscono uditori sempre più allargati grazie a esibizioni mirabolanti, acrobatiche, al limite della possibilità esecutiva. L’idea di fondo è quella di presentare la classica alle nuove generazioni in una forma meno paludata e accademica, rendendola in una parola “pop”. È il caso del SIGNUM Saxophone Quartet, giovane ensemble teutonico (ECHO Rising Stars Award 2015) che ha fatto breccia nel mercato musicale portando una ventata di novità su palcoscenici quali la Carnegie Hall di New York, il Concertgebouw di Amsterdam e la Konzerthaus di Vienna. Con un repertorio in costante ampliamento, dal barocco al contemporaneo, i quattro strumentisti Blaž Kemperle (sax soprano), Hayrapet Arakelyan (sax contralto), Alan Lužar (sax tenore) e Guerino Bellarosa (sax baritono) abbinano l’arte dello spettacolo alla versatilità sperimentale, caratteristiche che contraddistinguono i loro programmi fuori dall’ordinario.
L’ultimo, in programma all’Unione Musicale dopo il debutto nel 2017, è l’inedito Bach Beyond, che eseguiranno mercoledì 2 febbraio alle 20.30 al Conservatorio di Torino.
Quando è iniziata la vostra vita in quartetto e cos’è cambiato negli anni?
«Il SIGNUM si è formato nel 2006 alla Hochschule di Colonia. Inizialmente ci siamo dedicati alla letteratura per quartetto di sassofoni, poi abbiamo capito che per attrarre pubblico nelle grandi sale da concerto era necessario un salto di qualità. Così al nostro repertorio si sono aggiunte nel corso degli anni trascrizioni di brani di qualsiasi genere, dalle pagine orchestrali ai quartetti d’archi fino ai pezzi per pianoforte. Quando pensiamo a quale brano far rivivere con una nuova anima non ci poniamo limiti, l’importante è che ci emozioni. Ecco perché, in breve tempo, siamo diventati fonte di ispirazione sia per giovani ensemble freschi di diploma sia per artisti più maturi, che hanno seguito il nostro esempio aprendosi a nuovi orizzonti. Un risultato impensabile fino a vent’anni fa».
La stampa tedesca vi ha definito i “Beatles del sax”…
«Il paragone è lusinghiero, il nostro aspetto irriverente e scanzonato può far pensare a una pop band, ma rispecchia semplicemente quello dei trentenni di oggi. Siamo così sul palco come nella vita di tutti i giorni, non c’è nulla di pianificato. Ci siamo accorti che il pubblico si infiamma più facilmente se si riduce la distanza fra artista e spettatore. Inoltre, quando suoniamo ci muoviamo in libertà per comunicare, coerentemente con la logica della musica, le nostre emozioni. Il movimento è insito nell’etimologia stessa della parola “emozione”».
Con Bach Beyond rendete omaggio al genio di Eisenach. Perché il suo esempio ispira ancora oggi autori e generi di ogni sorta, dalla classica al rock fino all’elettronica?
«Bach è come la Bibbia, non stanca mai: più lo si ascolta, più lo si studia, e più si colgono le verità nascoste nella sua musica. Nella sua perfezione enigmatica, unita a un soffio potentissimo di spiritualità, c’è un elemento che sfugge a ogni elogio puramente umano. Bach siglava tutte le sue composizioni con la scritta “Soli Deo Gloria”, quasi a voler affidare ad ogni singola nota il compito di esaltare la gloria divina. Per questa ragione il suo è un messaggio universale, che attraversa le epoche e rimane sempre valido. Basterebbe l’uso magistrale della scala temperata, con cui ha aperto la strada a tutta la musica moderna, a smentire chi per secoli l’ha considerato un genio conservatore e non un innovatore».
Cosa c’entra Bach con i minimalisti Reich, Schumacher e Maslanka?
«Sono compositori che hanno rivisitato le strutture bachiane alla luce della contemporaneità. New York Counterpoint, composto da Reich nel 1985 per clarinetto solista e nastro pre-registrato, è basato su brevi frammenti ritmico-melodici, che sovrapposti fra loro generano una complessa polifonia secondo meccanismi autonomi. Con la percezione acustica gioca invece Tranceformer, che il pianista Schumacher ha scritto per noi mischiando le sonorità dei nuovi anni Venti. Partono, infine, da due Corali di Bach e da un canto gregoriano i tre brani tratti dall’album Recitation Book (2006) per quartetto di sassofoni, con cui Maslanka ha indagato la morte intesa come inizio di un nuovo ciclo di vita».
La stessa fiducia nel futuro attraversa il vostro ultimo album, Echoes, con cui nel 2021 avete debuttato nella scuderia Deutsche Grammophon…
«Echoes racchiude cinque secoli di musica, da Dowland a Fauré, da Glass a Gregson. Dieci brani dal virtuosismo meditato, fra arrangiamenti e composizioni originali per quartetto di sassofoni, che riflettono l’incertezza del nostro tempo segnato dalla pandemia. Il mistero della sofferenza e della morte ha sollecitato in ogni epoca la risposta dell’uomo: con Echoes volevamo offrire la nostra confrontandoci con grandi autori di ieri e di oggi. Il celebre Adagio di Albinoni, che eseguiremo anche a Torino, è trascritto per esempio con un andamento più veloce del consueto, mentre in Sarajevo di Lago il ritratto della città devastata dalla guerra si dissolve con un morbido passaggio al moto perpetuo. Sono piccoli segnali di speranza, che spingono però a guardare al futuro con fiducia».
Valentina Crosetto