Jan Lisiecki e Fazil Say: apollineo e dionisiaco all’Unione Musicale

Partiamo da Nietzsche, quello che abbracciava e baciava i cavalli in via Carlo Alberto. Il filosofo tedesco, nella Nascita della tragedia (1872), sostiene che la straordinaria rivoluzione portata dalle tragedie di Eschilo e di Sofocle consiste nella fusione del caotico entusiasmo per la vita di Dioniso con la limpida razionalità formale di Apollo. Apollineo e dionisiaco, da allora, sono diventati una pratica etichetta per dividere il mondo e gli artisti in due classi, e pazienza se le sfumature vanno a farsi benedire.

Quale coppia di musicisti, dunque, sembra più appropriata per incarnare, oggi, la contrapposizione tra apollineo e dionisiaco che quella formata dal pianista turco Fazil Say (recital mercoledì 13 febbraio, Conservatorio, ore 21) e dal suo collega canadese Jan Lisiecki (recital mercoledì 20 febbraio, Conservatorio, ore 21)?
Mettete fianco a fianco una loro fotografia, e capirete perché. Uno, Lisiecki, è biondo, alto, lungo e sottile come un giunco, serio e misurato, tendenzialmente taciturno (sarà un caso che abbia appena pubblicato un disco di Lieder ohne Worte di Mendelssohn?). Il frac gli calza a pennello, come se fosse uscito dal grembo materno con il farfallino pronto per un drink.

Fazil Say, invece, è scuro e sempre un po’ scarmigliato. Ha la guancia carnosa e il girovita mediterraneo, l’occhio furbo e la lingua sciolta. Tendenzialmente eccessivo, dimostra insofferenza per le formalità della sala da concerto e del dress code. Nel 2013 è stato condannato da un tribunale di Istanbul a dieci mesi di prigione per blasfemia, pena sospesa a condizione di non incorrere di nuovo nello stesso reato per i cinque anni successivi. La sua colpa era di aver dichiarato via tweet di essere ateo, annunciando, per rincarare la dose, di voler emigrare in Giappone a causa dell’ascesa in Turchia dell’Islam conservatore e della “crescente cultura dell’intolleranza”. Il divieto del tribunale sta per scadere, chissà se Fazil Say si arrischierà di nuovo a sfidare l’ira di Erdogan. Vista l’aria che tira nel suo Paese, Say ha pensato bene in questi anni di parlare attraverso la musica, incrementando sempre di più la sua produzione. Tra i suoi lavori figurano sinfonie (la più eseguita s’intitola Istanbul), concerti, oratori, musica da camera e vocale. Il suo ideale estetico è di scrivere musica che rappresenti un ponte tra Oriente e Occidente, mescolando i suoni e i vocaboli dei due mondi. Un tempo sarebbe stato definito una nobile utopia, ora rischia di diventare un motivo per finire in galera. Dionisiaco al cento per cento.

Lisiecki, invece, vola alto, come un cherubino. Le lacrime della vita le hanno versate i genitori, emigrati a Calgary dalla Polonia, mentre il figlio ha potuto sviluppare il suo talento prodigioso in un mondo libero e proiettato verso il futuro. Nel 2010 la Deutsche Grammophon, colpita dalla maturità musicale e dalla forza poetica delle sue interpretazioni, ha proposto a Lisiecki, un ragazzo di quindici anni e senza alcun premio in un concorso internazionale, un contratto in esclusiva, di cui certo non si è pentita. Sembra una favola, la vita di questo ragazzo dotato di tutto: bellezza, talento, poesia, carisma, modestia, e anche buon cuore, visto che è stato nominato ambasciatore dell’Unicef dal Canada. Qualunque cosa suoni, esce dalle sue mani perfetta, come Minerva dalla testa di Giove. Apollineo doc.

Ma sarà sensato dividere la sfera artistica in maniera così manichea? Fazil Say forse lo sa, visto che ha schizzato, sul pianoforte, anche il ritratto di Wagner e di Nietzsche.

Oreste Bossini