L’Ottetto d’Archi dei Berliner: un distillato di perfezione

Qual è l’orchestra numero uno al mondo? Difficile, anzi impossibile asserirlo con precisione matematica: le orchestre non corrono in pista, non esistono campionati né un ranking internazionale. E del resto far musica non è una gara, per fortuna. Eppure la domanda non è (ovviamente) nuova, e il mondo della critica globale interviene ciclicamente su questo tormentone, stilando classifiche degne di una competizione mondiale. Se provate a consultarle, nove su dieci al primo posto ci sono i Berliner Philharmoniker, un’orchestra che per la sua storia – passata attraverso le mani di direttori stabili come von Bülow, Furtwängler, Karajan, Abbado, Rattle – illumina “da sempre” come un faro planetario il mare della musica sinfonica.
Va da sé che poter ascoltare l’Ottetto d’Archi, fondato nel 1994 e formato da prime parti e professori d’un’orchestra di tale rango, offre alla serata, alla nostra esperienza, un distillato di quella luce. Il suono degli archi, così pieno, corposo, coeso – che è una delle specificità che contraddistinguono il timbro delle orchestre tedesche – trae quasi giovamento in una formazione come l’ottetto, in cui questa timbrica si fa anche (ancor di più) trasparente, e in cui possono emergere l’espressione e il virtuosismo dei singoli. Suonare in orchestra fa bene al gruppo da camera e viceversa.

Interessantissimo il programma del concerto di mercoledì 17 ottobre, che percorre a ritroso tre pietre miliari del repertorio per ensemble d’archi. Si comincia dal Sestetto che apre l’ultima opera di Richard Strauss, Capriccio (1942), una musica “al quadrato” nata per rappresentare se stessa (è il brano composto dal personaggio del compositore Flamand in omaggio alla protagonista, la Contessa Madeleine): una composizione che introduce l’ascoltatore al clima conversativo dell’opera, intrisa di somma ed elegiaca raffinatezza. Il Sestetto n. 1 op. 18 (1862) di Brahms, classicista nella forma, è invece molto innovativo sotto il profilo della distribuzione delle parti, mutando continuamente la geometria dell’assetto: si contrappongono nella condotta musicale due gruppi di tre strumenti oppure tre gruppi di due strumenti, oppure i quattro più gravi contro i due violini, e così via, dando vita a situazioni molto cangianti anche dal punto di vista coloristico. Nel finale il brano più antico, l’Ottetto op. 20 di Mendelssohn, che a 16 anni (nel 1825) si inventa sostanzialmente quest’organico: esistono precedenti doppi quartetti di Spohr, ma a partire da questo autentico esempio la scrittura è a otto parti reali. Un ottetto che, su indicazione dell’autore apposta sulla partitura autografa, «va suonato da tutti gli strumenti nello stile di un’orchestra sinfonica». Dovremmo esserci!

Simone Solinas