Avete presente il celebre duo pianistico Labèque? Bene: declinate quel concetto al maschile, cambiate colore ai protagonisti, cioè dal bruno al biondo, e otterrete un primo identikit della premiata ditta a quattro mani formata da Lucas e Arthur Jussen. Fratelli, evidentemente, nati a Hilversum in Olanda da genitori musicisti, occhi azzurri e look alla moda, oggi sulla cresta dell’onda in tutt’Europa: il maggiore – cioè Lucas – ha ventinove anni, Arthur quattro di meno. La Deutsche Grammophon li ha messi sotto contratto poco più che ragazzini, spianandogli la strada verso la fama; ma loro due hanno fatto il resto, aggiungendo verve, freschezza e simpatia ad un campionario di doti pianistiche ragguardevoli. «È come guidare una coppia di BMW», ha detto il direttore d’orchestra Michael Schønwandt dopo aver lavorato con loro. Quella marca di motori tedesca non a caso è nota per affidabilità e brillantezza.
In Italia, Arthur debutta a neppure vent’anni, con un concerto a Bologna senza Lucas. Sei anni dopo, con ben altra fama acquisita in duo, gli Jussen si presentano al pubblico italiano, suscitando consensi e ponendo le basi per un ritorno a strettissimo giro. Ed eccoli a Torino, adesso, ospiti per la prima volta dell’Unione Musicale: l’appuntamento è per mercoledì 16 marzo al Conservatorio Giuseppe Verdi (ore 20.30).
Il programma si apre con due autori classici come Mozart (Sonata K. 448) e Schubert (Allegro D. 947, “Lebensstürme”), la cui citazione rappresenta forse un garbato omaggio allo stile e al fascino di Maria João Pires, riferimento decisivo nella formazione dei due pianisti olandesi.
Dopo Vienna, il programma dà spazio alla Parigi rutilante di inizio Novecento, con due capolavori iconici: La valse di Ravel e Le sacre du printemps, quest’ultima nella versione a quattro mani che Stravinskij, prima ancora di sollevare scandalo sinfonico e coreografico, suonò privatamente con Debussy.
Chi volesse farsi un’idea dello stile musicale di Lucas e Arthur avrebbe solo l’imbarazzo della scelta, ché in rete le performance degli Jussen sono numerose e molto cliccate. Il loro gesto è coinvolgente fino a sfiorare, talvolta, un certo compiacimento vagamente teatrale, ma il senso della misura che regola ogni esecuzione riporta gli esiti nei margini di una musicalità naturalmente rispettosa di pubblico e scrittura.
Se invece foste curiosi di conoscere qualcosa di più sul carattere dei due, sul loro modo di vivere a contatto con il pianoforte e con la fama che li ha raggiunti, consigliamo – sempre sul web – una video-intervista in cui gli Jussen “si confessano” al conduttore tedesco Clemens Nicol: si prendono in giro esibendo più vizi che virtù, poi giocano anche a pallone e si divertono infine a recitare la parte dei cattivi soggetti, pungendosi reciprocamente. Che si vogliano un gran bene, però, risulta chiaro.
Qualcuno, sentendo tutto questo, potrebbe in fondo pensare che “sì, vabbè, ma non è una cosa seria”. Invece no, è serissima, come dimostra l’elenco – sintetico per forza – delle collaborazioni già intraprese dalla premiata ditta Jussen: alla voce “orchestre” compaiono Boston Symphony, Philadelphia, Concertgebouw, City of Birmingham, Münchner Philharmoniker; sul fronte dei direttori troviamo Eschenbach, Gergiev, Honeck, Nelsons, Nézet-Séguin e Jukka-Pekka Saraste.
Niente male per un duo che, sommando l’età dei componenti, supera di poco il mezzo secolo. Hanno cominciato presto, i due Jussen, esibendosi da bambini – quasi come Mozart – al cospetto della regina Beatrice d’Olanda. Ma la loro vera regina, capace cioè di cambiargli la vita, sarebbe stata Maria João Pires, da cui Lucas e Arthur hanno imparato a migliorare la tecnica, a stare in scena, a curare l’espressione e soprattutto a giocare con la musica. Che è un privilegio per pochi.
Stefano Valanzuolo