Lucas Debargue, divo anticonformista della tastiera

Il mondo della musica è abituato da sempre a raccontare delle storie.
Si pensi, per esempio, a quanto ha inciso sull’immagine di Verdi l’aneddoto sul libretto del Nabucco aperto sul tavolo alla pagina del Va’ pensiero. Oggi, con l’avvento di Netflix e dell’entertainment globale, vendere una storia è diventato quasi un obbligo per un giovane artista in cerca di successo.

Lucas Debargue, garçon prodige francese, ne aveva una perfetta da raccontare. A undici anni s’invaghisce del pianoforte sentito a casa di un amico, che gli lascia usare il suo strumento per improvvisare jazz a orecchio. A diciassette molla il pianoforte per andare a vivere a Parigi, dove si interessa di tutt’altro lavorando in un supermercato per sbarcare il lunario. Qualche anno dopo lo invitano a suonare un po’ di jazz nella sua città natale, Compiègne. Debargue ritrova la scintilla della musica dentro di sé, e a vent’anni comincia a studiare seriamente con una pianista russa trasferitasi a Parigi, Rena Shereshevskaya, discendente della scuola di Alexander Siloti, ossia di Liszt in persona, una che sa il fatto suo in fatto di pedagogia, visto che tra i suoi allievi figura anche lo sbalorditivo Alexander Kantorow, vincitore della Medaglia d’oro al Concorso Čajkovskij di Mosca lo scorso anno.
Sta di fatto che dopo solo quattro anni di vero studio, Debargue si presenta al Čajkovskij nel 2015 e vince addirittura il quarto premio. Sulla carta, niente di così eccezionale ma nella realtà un fatto clamoroso, perché in quell’edizione del Concorso non si parlava d’altro che di quel giovanotto singolare e anticonformista.

Debargue, che si è presentato alla finale con la camicia slacciata al collo sotto lo sguardo contrariato di Putin, ha diviso la giuria tra chi ammirava la genialità e la poesia delle sue interpretazioni e chi, invece, non sopportava la sua tecnica “amatoriale” e le diteggiature impossibili, inventate dalle sue dita lunghe e ossute. Critica e pubblico, dal canto loro, non avevano dubbi su chi fosse il vincitore morale del Concorso, e nei giorni successivi l’hanno fatto intendere sonoramente al recital del quarto classificato, accolto da ovazioni interminabili e concluso da un’improvvisazione jazzistica che forse lascia venire a galla meglio del repertorio classico le qualità fuori dal comune di questo musicista.

Per Debargue, infatti, la musica parla, con un’articolazione così precisa e convinta che trasforma ciascuna nota in una sillaba immaginaria da mettere in fila con le altre in un discorso compiuto. Mercoledì 25 marzo (Conservatorio, ore 21) lo si potrà ascoltare per la prima volta a Torino, nella stagione dell’Unione Musicale in un recital che spazia dal Settecento vivace ed elegante di Scarlatti, al primo Novecento introverso e tormentato di Nicolai Medtner, attraverso le poetiche visioni di Liszt. Tutto troverà il suo accento particolare e la sua pronuncia esatta nelle mani di questo divo antidivistico della tastiera.

 

Oreste Bossini