Dall’alto di un timbro e di un’estensione straripanti, Vincenzo Capezzuto possiede il dono di una voce particolarissima, duttile quanto salda, che lo ha reso uno degli artisti più versatili e ricercati nel panorama musicale internazionale. Con un passato da danzatore pluripremiato in compagnie di rango, dal San Carlo di Napoli all’English National Ballet, dal Ballet Argentino di Julio Bocca all’Aterballetto di Reggio Emilia, nulla lasciava presagire la svolta da cantante solista. Ma nella sua storia movimento e canto non hanno mai smesso di rigenerarsi a vicenda, di coniugarsi in forme d’arte a tutto tondo, volutamente fuori dagli schemi.
Domenica 18 luglio alle ore 18 (e non alle 16.30 come previsto inizialmente!) tornerà all’Unione Musicale nel concerto Pasión latina con l’accompagnamento di Giancarlo Bianchetti alla chitarra.
Com’è nato questo concerto?
«Dall’incontro fortunato con Giancarlo Bianchetti, musicista sopraffino ed eclettico. Qualche anno fa, durante una tournée in Spagna, Giancarlo sostituì il chitarrista con cui collaboravo, imparando in un solo giorno tutti i brani in scaletta. Poi scoprimmo di condividere la stessa passione viscerale per le calde sonorità latino-americane, maturata dopo aver trascorso lungo tempo in Argentina e in Brasile. Un pomeriggio, per diletto e senza spartiti, abbiamo provato insieme buona parte dei pezzi che ascolteremo: è nato così il progetto di questo raffinato viaggio a due fra Mediterraneo e Sudamerica, oltre i confini delle latitudini, dei generi e delle generazioni».
Cosa vi ha ispirato nella selezione dei brani in programma programma?
«La scelta è ricaduta su quei brani che per melodia e ritmo rispecchiano la nostra idea di “musica contaminata”, capace di distillare gli elementi popolari locali in idioma universale. Dalle terre lontane d’Argentina provengono i canti liricamente appassionati e nobilitati ad arte di Carlos Guastavino, come El clavel del aire blanco e Cortadera – Plumerito (dalla raccolta Flores argentinas), e la milonga Al árbol del olvido di Alberto Ginastera su un testo struggente del poeta Fernán Silva Valdés. Al folklore messicano e venezuelano portato al successo da cantautori di umili origini appartengono il bolero Sabor a mí di Álvaro Carrillo, la celebre Cucurrucucú paloma di Tomás Méndez (inclusa nel film Parla con lei di Pedro Almodóvar e rivisitata anche da Franco Battiato) e il commovente Lucerito di Luís Mariano Rivera. Non mancheranno i ritmi coinvolgenti della pizzica salentina Lu rusciu te lu mare, della tradizionale Tarantella del Gargano e della napoletana Villanella ch’all’acqua vai; così come le incursioni in Spagna e Portogallo con il flamenco Por la mar chica del puerto di Mayte Martín e il fado di Carlos Gonçalves, Lágrima. Dal canto suo, Giancarlo proporrà tre brani strumentali dotati di un’espressività dirompente quali Down From Antigua del jazzista americano Jim Hall, Lôro di Egberto Gismonti e Beatriz della brasiliana Mônica Salmaso».
Alle spalle vanta una carriera da primo ballerino in compagnie di prestigio. Quando ha scoperto le sue doti canore e ha deciso di cambiare percorso?
«Fin da ragazzo, ho sempre coltivato sia la danza sia il canto. Grazie alla mia fisicità, mi sono formato come danzatore al San Carlo di Napoli, ma la passione per la musica non mi ha mai abbandonato. Crescendo in un teatro così importante, ho avuto la fortuna di conoscere grandi artisti, di osservarli al lavoro, di assorbire i loro insegnamenti. La scuola del palcoscenico mi ha aiutato a perfezionare il mio modo di cantare. Gli amici e i colleghi erano stupiti dalle qualità prodigiose della mia voce, così rara e naturalmente intonata; riuscivo a cantare le canzoni di Mina senza alcuno sforzo, a passare dalla musica antica a Kurt Weill con assoluta disinvoltura. Mai avrei immaginato che questo dono potesse aprirmi nuove strade finché non ho incontrato Christina Pluhar e il suo ensemble L’Arpeggiata. Insieme a loro mi sono esibito in templi della musica quali la Carnegie Hall di New York, la Wigmore Hall di Londra e il Melbourne Recital Centre. Oggi, dopo quasi dodici anni di attività e riconoscimenti in giro per il mondo, il canto è ormai preponderante nella mia carriera, ma la porta della danza resta sempre aperta».
È difficile catalogare la sua voce per timbro ed estensione. Lei come la definirebbe?
«La mia è una voce d’argilla in continua evoluzione, uno strumento che si adatta e si modella a seconda del programma che interpreto. Mi piace l’idea di non definirla affatto, perché ciò mi permette di impiegarla in stili e generi musicali diversi con estrema libertà. Quando si sfugge ai registri vocali canonici si rischia di non essere compresi, ma il vantaggio consiste nell’assoluta varietà dei repertori che offre una simile peculiarità».
Fra i repertori del suo vastissimo curriculum, ce n’è uno che predilige?
«Negli anni ho frequentato repertori molto differenti, dalle arie di Monteverdi, Vivaldi e Bach ai Lieder di Schubert, dalle monodie di Barbara Strozzi alle mélodies di Saint-Saëns, dal cantautorato sudamericano al blues e al pop contemporanei. La predilezione per la tradizione barocca del Sei-Settecento mi ha reso protagonista di numerosi spettacoli in bilico fra musica, danza e arti visive con Soqquadro Italiano, l’ensemble che ho fondato nel 2011 insieme a Claudio Borgianni. Non amo però essere ingabbiato in un solo genere, preferisco mettermi continuamente in gioco sperimentando le possibilità espressive della mia voce. Attualmente, sono impegnato con L’Arpeggiata nella registrazione di un nuovo progetto discografico dedicato alla canzone napoletana ottocentesca, che uscirà a settembre. Ma se mi proponessero, per esempio, di interpretare le splendide Folk songs di Luciano Berio, non esiterei ad accettare la sfida!».
Valentina Crosetto