Dopo una pausa di undici anni, per la nona volta nella sua ormai più che trentennale carriera internazionale, Lilya Ziberstein torna a proporsi in concerto per l’Unione Musicale (mercoledì 15 gennaio, Conservatorio – ore 21). Ma l’occasione, stavolta, è di quelle speciali, per questioni non solo e non tutte musicali: la pianista russa, infatti, avrà accanto a sé, nella circostanza, due giovani colleghi, i fratelli Daniel e Anton Gerzenberg, che oltre ad essere solisti ormai in carriera sono, per inciso, anche figli di Lilya e del trombettista Alexander Gerzenberg.
Più Hausmusik di così…
«È vero. Storicamente – spiega la Zilberstein – la musica da camera nasce e si diffonde nei salotti, riunendo familiari ed amici. Diciamo, allora, che anche noi possiamo inserirci a pieno titolo nel solco di una tradizione lunga più di due secoli».
Difficile, per un genitore, rimanere completamente obiettivo e professionale in una situazione del genere?
«Direi di no. Daniel e Anton sono pianisti fatti e formati. Insieme abbiamo già suonato i Concerti di Bach e di Mozart per 3 pianoforti senza alcun problema. Sono state esperienze piacevolissime. Certo, alla normale attenzione, in questi casi, si aggiunge l’orgoglio di mamma; ma quello, nessuno me lo può negare!»
A Torino suonerà a 2, 4 e 6 mani. Qualche volta occorre andare a pescare vere e proprie rarità di repertorio…
«Beh, per le 6 mani non c’è davvero troppo da scegliere. Il Rondeau di Czerny, appunto, è una pagina semisconosciuta ai più. Ma, sempre in tre, vorremo far ascoltare anche un Rachmaninov, fuori programma…»
Sono lavori tecnicamente difficili?
«Certamente sì. Czerny, soprattutto, è un po’ scomodo: troppe mani sulla tastiera, il gran traffico di braccia e, soprattutto, una densità musicale fuori dal comune. Rachmaninov è meno complicato. In ogni caso, si tratta di brani scritti da pianisti per i pianisti, e questo li rende stimolanti, credibili e belli»
Parliamo del resto del programma, della parte che la vedrà in scena da sola…
«Mi piace sempre mettere insieme proposte popolari, o quasi, ed altre che rappresentino quasi una novità. Lo faccio anche stavolta, facendo seguire allo Schubert dei Momenti musicali il Beethoven molto ricercato delle Variazioni su Righini».
Che pezzo è quello di Beethoven?
«Affascinante per quanto risulti semplice, sul piano strutturale, ma allo stesso tempo coinvolgente su quello emotivo. Da quando ho cominciato a suonarlo mi sono accorta di come le facce degli ascoltatori assumessero, via via, un’espressione felice».
Non è cosa che capiti sempre…
«Spesso non capita perché al pubblico si fanno ascoltare sempre le stesse cose, col rischio di annoiarlo. Eppure ci sono moltissimi lavori che andrebbero diffusi di più e meglio, anche brani di autori famosi, come Beethoven o Chopin».
Uno Chopin da riscoprire, per esempio?
«Quello della Sonata n.1 in do minore, senza alcun dubbio. Sembrerebbe cosa scontata, e invece si esegue pochissimo, forse solo negli ultimi tempi è stato inserito nei programmi di concorso. Ma il perché succeda questo, lo si capisce suonandolo».
Lo spieghi anche a noi…
«Colpa del Finale. Sembra quasi impossibile da eseguire, tanto è difficile tecnicamente. Ma questo non dovrebbe essere un ostacolo, per i pianisti bravi. I quali, eseguendo la Sonata, scoprirebbero anche un terzo movimento strepitoso, l’unico pezzo di Chopin scritto in cinque quarti».
In Italia lei torna spesso e volentieri, anche a Torino…
«L’Italia è una seconda casa, per me, sin da quando ci venni per quel Busoni, nel 1987, che mi avrebbe lanciato in carriera. Da allora non so più quante volte abbia suonato qui. È stato bello anche imparare la vostra lingua».
Per fare musica da camera – e lei ne fa tanta a livelli importanti – bisogna prestare ascolto al partner, diligentemente. I suoi figli stanno sempre a sentire la loro mamma?
«Da bravi pianisti, naturalmente lo fanno. Magari a casa, quando si studia, vien fuori qualche discussione in più, come è normale che sia. Ma poi, col pubblico davanti, siamo tutti professionisti sullo stesso piano. In tutti i sensi!».
Stefano Valanzuolo