Ci sono dei punti di riferimento ineludibili per solisti ed ensemble che perseguano i sentieri della buona musica. La statura di un quartetto d’archi, per esempio, si può certo misurare sul livello di confidenza che esso intrattenga con Beethoven. La maturità e lo spessore di un pianista (non per forza solo “romantico”) passano attraverso l’esplorazione consapevole – tra gli altri – di Schubert e Schumann.
Evidentemente, allora, i tre appuntamenti da camera che l’Unione Musicale propone a dicembre hanno il gusto del confronto con la tradizione e con il cosiddetto repertorio, spesso meno frequentato di quanto non si creda. Un confronto – va detto – tutt’altro che scontato, anzi scabroso, tanti sono i confronti accessibili ad un pubblico mai sazio di capolavori. Una sfida, insomma, resa tale dall’esigenza doppia, per l’interprete, di non sottrarsi al fascino della sorpresa e di mantenersi nell’alveo rassicurante scavato dai classici.
Non è un caso che il Quartetto Casals (5 e 6 dicembre, Conservatorio, ore 21) abbia scelto Beethoven per celebrare i suoi primi venti anni di carriera, quasi facendone il testimonial di lusso dell’evento. Il progetto integrale che l’ensemble spagnolo sta portando nel mondo dall’anno scorso (e che li ha già visti protagonisti a Torino, nel 2017) non rappresenta solo un tour de force ma, soprattutto, un’operazione di ricerca sulla scrittura beethoveniana capace di evidenziarne il percorso evolutivo ed il fitto gioco di rimandi attraverso cui l’opera di un autore aderisce alla Storia. Suonare tutto Beethoven è un esame di maturità; ascoltarlo è un privilegio.
Ancora più carico di spunti (musicali, ma anche letterari, biografici, poetici) è l’excursus che un pianista profondamente colto come Andrea Lucchesini (12 dicembre, Conservatorio, ore 21) va definendo già da un anno a questa parte. Il filo rosso che unisce Schubert a Schumann, infatti, è inequivocabile quanto avvincente, persino misterioso se si pensa a quel tema fatidico che Schumann diceva gli fosse stato dettato dal fantasma del collega austriaco e sul quale egli avrebbe composto le variazioni, sull’orlo della follia.
Senza dire che la grandezza dell’ultimo Schubert – qui testimoniata dalla Sonata op. 42 – meriterebbe comunque di essere celebrata più di quanto non si faccia nelle nostre sale da concerto. Ad intuirla per primo fu Schumann che, traendone impulso, si consacrò al pianoforte nei primi anni di luminosa carriera. Tra le pagine significative di quel periodo, troviamo la Kreisleriana, raccolta intrisa di echi letterari.
Stefano Valanzuolo