Scrivendo di Sandrine Piau, la prima cosa che viene da dire è che appartiene a una generazione di cantanti francesi cresciuta nel momento d’oro della riscoperta del Barocco. Non la prima generazione, quella delle pioniere e dei pionieri, ma la seconda, quella nata alla metà degli anni Sessanta e che ha consolidato, ampliato, in qualche modo persino rifondato tutto il lavoro degli inizi. Potrà sembrare riduttivo assimilarla a una generazione, perché ogni voce ha la sua storia, i suoi sviluppi. Certamente Sandrine Piau ha seguito una traiettoria diversa da quella di Véronique Gens o di Natalie Dessay, per citare le due colleghe con le quali ha lavorato più spesso, anche a distanza di anni, in produzioni che sono andate ben oltre il campo del Barocco. Lei stessa, però, ha ricordato il periodo degli inizi come un’epoca di condivisione e di complicità, nel quale ci si sentiva parte della stessa avventura, o se si vuole della stessa famiglia.
Sandrine Piau studiava arpa al Conservatorio di Parigi. Cantava nei cori fin da bambina, ma non pensava al Barocco. Arrivò al Coro della Chapelle Royale ma Philippe Herreweghe, che lo dirigeva, riteneva che la sua fosse una voce romantica e la preferiva in un repertorio moderno. Frequentando al Conservatorio la classe di Interpretazione Vocale antica venne convinta dall’insegnante, William Christie, a lasciare l’arpa e a cantare nel suo gruppo, Les Arts Florissants. Qui c’era un giovane clavicembalista, Christophe Rousset, che la volle con sé quando iniziò a dirigere e tramite i concerti fatti con lui conobbe Gustav Leonhardt, René Jacobs, insomma i grandi maestri della generazione precedente, che cominciarono a chiamarla per collaborare. Via via cambiava il suo repertorio, perché se William Christie le aveva proposto Rameau e Charpentier, con Rousset aveva scoperto Haendel e aveva sentito che la sua voce poteva spingersi verso zone espressive, liriche, che mai avrebbe pensato prima. Di lì sarebbero venuti Mozart, i ruoli leggeri nelle opere del tardoromanticismo e poi, via via, anche la passione per la musica da camera, per il Lied, avvicinato con prudenza prima di metterlo stabilmente in repertorio nella sua lunga collaborazione con la pianista Susan Maloff.
Oggi Sandrine Piau continua a frequentare Haendel e Mozart in teatro, ma è anche diventata una specialista del tardo Ottocento, con la sua voce elegante, morbida e piena di personalità che offre nuova sostanza ad autori come quelli che interpreta a Torino per l’Unione Musicale: Chausson, Wolf, Richard Strauss. Lei confessa di sentire suo anche altro Novecento, Schoenberg e Berg compresi. Ma Herreweghe, che l’aveva sempre vista proiettata nel moderno, nel frattempo in parte si è ricreduto. Dal punto di vista dell’ampiezza storica del repertorio, Sandrine Piau è forse la più completa delle cantanti con cui ha lavorato.
Stefano Catucci