Seong-Jin Cho: equilibrio, controllo e umiltà alla tastiera

Ci sono concorsi e concorsi. Ci sono competizioni musicali, cioè, cui il giovane solista prende doverosamente parte per offrire di sé una prova di esistenza in vita e ricavarne uno sprazzo di visibilità; ce ne sono poi altre, eccezionalmente selettive, che possono dare, in caso di vittoria, una svolta radicale alla carriera. Del secondo lotto, assai ristretto, fa parte il Concorso “Chopin” di Varsavia che, in quasi un secolo di vita e attraverso diciotto edizioni, ha laureato fior di pianisti come Pollini, Argerich, Zimerman, Bunin, Blechacz tanto per limitarsi ai primi posti (ché sul podio sono saliti anche Ashkenazy, Uchida e Trifonov…).

Nella penultima edizione, quella del 2015, a imporsi è stato Seong-Jin Cho, sudcoreano classe 1994: ed è appunto lui che Torino – dopo il debutto di quasi quattro anni fa al fianco della OSN della RAI – accoglie nuovamente in Conservatorio il prossimo 24 novembre, ospite stavolta dell’Unione Musicale, con un recital diviso tra Chopin e Ravel.

Che il successo ottenuto a Varsavia abbia spianato a Cho la strada della gloria è testimoniato dalle collaborazioni intrecciate dal pianista negli ultimi sei anni, artisticamente vorticosi; a cominciare da quella con la Deutsche Grammophon che, dopo la pubblicazione del live dal Concorso “Chopin”, gli ha affidato altri cinque album, tre da solista (Mozart e Debussy monografici; Schubert, Berg e Liszt in un disco che suona come elogio della Sonata) e due, con la London Symphony Orchestra e Noseda, interamente chopiniani. Nel secondo di questi due lavori, oltre al Concerto n. 2, Cho esegue i quattro Scherzi, in programma proprio a Torino.

Qualcuno lo descrive come uno chopiniano doc, ma lui – a leggere tra le sue interviste – non ci sta: «Dal 2015 a oggi ho registrato e suonato dal vivo molte altre cose, mica solo Chopin. Dopo il concorso, anzi, ho scelto di ampliare il repertorio, per evitare di venire etichettato come “specialista”: sarebbe stato eccessivo, a poco più di vent’anni. Solo di recente ho avvertito l’esigenza di tornare su Chopin, e così è nato questo disco. La pandemia ne ha ritardato l’uscita, è vero, ma mi ha anche dato la chance di dedicarmi agli Scherzi con un’attenzione ampia ed efficace».

A proposito di Covid, Seong-Jin Cho rivela come il periodo di sospensione lo abbia messo quasi nella stessa situazione dello studente in attesa di dover sostenere un esame, senza conoscerne la data. «Ma in quei mesi ho capito – spiega Cho – quanto decisivo sia lo stimolo esercitato sull’artista dal pubblico. Sono certo che i concerti online non possano sostituire quelli dal vivo, per quanto mi ci sia abituato. Durante il lockdown, mi sono immerso nello studio di pagine nuove come Gaspard de la nuit di Ravel (in programma a Torino, così come la Pavane pour une infante défunte; n.d.r.), che personalmente considero tra i lavori tecnicamente più complessi per un pianista. È un pezzo che voglio suonare adesso che sono giovane, appunto».

A ventisette anni, Seong-Jin Cho vanta un curriculum sontuoso: ha suonato con i Berliner Philharmoniker (la prima volta, nel 2017, proprio con Ravel, Concerto in Sol, sul podio Rattle; quindi con Liszt e Andris Nelsons), i Münchner Philharmoniker, la Philadelphia Orchestra, diretto da Chung, Iván Fischer, Nézet- Séguin, Pappano e Salonen. Una carriera in prepotente ascesa, un presente e un futuro da star che, comunque, non turbano il giovanotto: «Parlare di successo – fa notare Cho – non ha molto senso, visto che sto ancora imparando. Forse penserei lo stesso pure se di anni ne avessi quaranta o cinquanta: ad adagiarsi sugli allori, infatti, non si progredisce».

I critici dicono di lui che possegga un notevole equilibrio espressivo, un controllo ferreo e consapevole dello strumento, nessuna attitudine per il tratto circense e un’anima musicale vagamente poetica, in parte forse assimilata da Alfred Brendel che, insieme a Michel Béroff, è stato uno dei suoi riferimenti formativi importanti.

La cifra tecnica, frutto di preparazione assidua e scrupolosa, è notevolissima. Sono caratteristiche, queste, che hanno contribuito a imporlo nello Chopin, prima, e alla platea internazionale, dopo. Sull’argomento, Cho mantiene una posizione chiara: «In qualsiasi competizione, evitare semplicemente di prendere note sbagliate e suonare veloce e forte non conta molto. Per me, la “tecnica” non ha a che fare con queste cose, ma riguarda il controllo. E la musicalità, invece, sottende la comprensione della musica. Ognuno, sull’interpretazione di un pezzo, potrà avere le proprie idee: ecco perché i concorsi sono una specie di gioco d’azzardo, dove molto dipende dalle reazioni dei singoli membri della giuria e, in definitiva, dalla fortuna. Ciò che ho dovuto fare per preparare lo Chopin è stato semplicemente esercitarmi duramente per rendere al meglio. Dopo di che, non resta che pregare!»

Stefano Valanzuolo