Gli allievi sono destinati a superare i loro maestri, non a diventare i loro partner. Per questo, probabilmente, ha destato tanta curiosità la formazione di un duo pianistico tra il celebratissimo Daniil Trifonov, ormai conteso dalle sale da concerto di tutto il mondo, e il suo insegnante e mentore Sergei Babayan, un nome forse meno noto al grande pubblico ma una vera leggenda per gli addetti ai lavori.
Lo stesso Trifonov, infatti, mette sempre in chiaro che il formidabile pianista armeno, nato in Unione Sovietica lo stesso anno in cui il suo compatriota Yuri Gagarin volava per la prima volta nello spazio, è stato non solo il suo principale insegnante al Cleveland Institut of Music, ma anche il maestro che ha sciolto le ali al suo immenso talento, aiutandolo a trovare la sua vera natura d’interprete e mettendolo al riparo dal pericolo più grande per un giovane artista della sua natura, ovvero di consumare troppo in fretta la fiamma di una sensibilità incline a lasciarsi travolgere dall’emozione musicale.
Babayan, per esempio, ha intuito subito che Trifonov, arrivato a Cleveland carico dei pesanti cavalli di battaglia del repertorio tardoromantico, possedeva invece istintivamente un’eleganza e una flessibilità che soltanto i grandi interpreti di Chopin possono vantare, mandando il ragazzo a vincere il Concorso Cajkovskij a Mosca niente meno che con il Primo Concerto di Chopin, cosa inaudita per una competizione dove i cannoni hanno sempre contato più dei fiori.
E certo Babayan non era uno sprovveduto, con la caterva di premi vinti da concorrente e un repertorio sterminato che va da Bach a Ligeti, da Scarlatti ad Arvo Pärt. Sapeva di avere tra le mani un diamante purissimo, uno di quegli allievi che capitano (forse) una volta nella vita, e dunque sentiva il peso della responsabilità nel gestire un talento del genere. La decisione, maturata qualche anno fa, di esibirsi insieme in un repertorio per due pianoforti è la prova migliore di quanto fertile e profondo sia stato il loro rapporto in questi anni di esplosione del “fenomeno Trifonov”. Insieme, maestro e allievo hanno fatto scintille, mantenendo ciononostante una personalità pianistica ben distinta, più Eusebio quella di Trifonov, più Florestano quella di Babayan.
Avevano inoltre per le mani un repertorio perfetto per due pianisti di solidissima tradizione russa: le due Suite di Sergej Rachmaninov, che lo strano duo ha anche registrato dal vivo al Festival di Verbier per la Deutsche Grammophon. La prima Suite op. 5, conosciuta anche come Fantaisie-tableaux, fu scritta nel 1893, ancora sotto lo choc della morte di Cajkovskij, cui è dedicata. Sono quattro movimenti ispirati ad altrettante pagine della grande poesia russa, a eccezione del secondo quadro, La nuit…l’amour, tratto da Lord Byron. Questa sorta di poema sinfonico per due pianoforti, nonostante il sangue russo del lirismo che circola in ogni piega della scrittura, mette alla prova soprattutto il virtuosismo non solo dei singoli interpreti ma anche dell’ensemble, che deve essere perfettamente affiatato fino all’ultimo respiro.
Sette anni dopo, nel 1901, Rachmaninov torna di nuovo a scrivere per due pianoforti, con una seconda Suite op. 17, questa volta priva di voli pindarici extramusicali e con riferimenti precisi a forme di danza, come la Valse e la Tarantella, secondo lo stile della musica barocca. Dopo la lunga depressione seguita al fiasco della sua Prima Sinfonia, Rachmaninov si rivolgeva di nuovo al fedele pianoforte per riprendere il cammino creativo bruscamente interrotto, in attesa di ricevere il massimo trionfo della sua carriera con il Secondo Concerto.
Oreste Bossini